Vincenzo Tiberio: il medico che, prima di Fleming, scoprì la penicillina

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Ci piace dedicare l’appuntamento odierno della nostra rubrica a un grande medico, il Dott. Vincenzo Tiberio, che, per primo, pubblicò degli studi sul potere battericida delle muffe.

Originario del Molise, il Dott. Vincenzo Tiberio (1869 – 1915)  ebbe una grande intuizione, che avrebbe potuto rivoluzionare la storia della medicina, con ampio anticipo rispetto alla scoperta di Fleming. Durante una vacanza estiva presso alcuni parenti in campagna, Tiberio osservò che, subito dopo la pulizia di un pozzo dalle muffe, si registrava un notevole incremento dei casi di enteriti e infezioni viscerali, cosa che non accadeva quando la gente beveva l’acqua con la presenza delle muffe nel pozzo. Tiberio evidenziò che i funghi presenti nelle muffe, il penicillum glacur e altre muffe, erano in grado di bloccare la replicazione in vitro dei batteri, constatando, quindi, il potere battericida delle muffe. Gli studi di Tiberio vennero pubblicati, nel 1895 (quando il medico molisano era ancora studente in Medicina), sulla rivista “Annali di igiene sperimentale”. Le conclusioni dello studente molisano vennero accolte con scetticismo e diffidenza dall’ambiente accademico del tempo e consegnate alle polveri degli archivi dell’Università di Napoli. Quelle stesse conclusioni, che mettevano in risalto e dimostravano il potere battericida delle muffe, permetteranno a Fleming di ottenere, per quella rivoluzionaria scoperta, il Nobel per la medicina. Immaginate quanto diverso sarebbe stato il destino dell’umanità se, ai primi del Novecento – e particolarmente durante la Grande Guerra – si fosse avuta a disposizione la penicillina.

Non sappiamo, ovviamente, se Fleming avesse letto gli studi del medico italiano. Possiamo solo osservare l’ennesima occasione mancata per il nostro Paese. Tiberio non è il primo e unico esempio di persona geniale, ridimensionata e annichilita dai cosiddetti “sapienti”. Circa mezzo secolo dopo, sarebbe toccato a un medico sardo, farmacologo, biologo, igienista.  Nel 1943 Giuseppe Brotzu era rettore dell’ateneo sardo quando fece il primo passo verso la scoperta maturata poi nel silenzio del laboratorio. Era un ricercatore di rara capacità. Giovanissimo laureato in medicina e chirurgia (1919), nel ’23 aveva pubblicato uno studio sul tifo endemico che affliggeva Cagliari. Lungo quel filone di osservazioni andò avanti per dieci anni, fino a notare con sorpresa che le micidiali salmonelle (principale causa d’infezione) scomparivano rapidamente nelle acque fognarie urbane scaricate poi nel mare. Intuì che quel fenomeno di autodepurazione del mare dovesse essere legato a una sorta di “lotta biologica” tra specie viventi. Rilevati da quel tratto di costa cittadina svariati campioni di muffe, avviò una lunga osservazione in coltura. A quel punto occorreva andare avanti per isolare il principio attivo, identificare le molecole, preparare un farmaco e produrlo. Un’occasione storica per l’Italia appena uscita dalla guerra (1946). Servivano ingenti risorse che l’Università cittadina non aveva e Brotzu si rivolse alla Regione, ai ministeri della Sanità e della Pubblica istruzione, al Cnr: nessuno rispose. Del “micete-Brotzu” si occupò invece la Sanità britannica, chiedendo allo scopritore chiarimenti scientifici. L’Università di Oxford si occupò di finanziare le ricerche e si arrivò a identificare il principio attivo di una nuova categoria di antibiotici ad ampio spettro e bassa tossicità, ancora oggi molto usati, le cefalosporine. Il brevetto fu venduto dagli inglesi alla società Glaxo, che produsse il farmaco.

Massimo Conocchia

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