La lenta distruzione dei centri storici

Bata - Via Roma - Acri


La civiltà di un popolo si misura, oltre che dai costumi, dai luoghi e dagli spazi in cui abita e vive le proprie relazioni, dall’architettura e dall’urbanistica come rappresentazione emblematica del grado di civilizzazione estetica e urbana.

Qualche giorno fa, ho avuto tanto il piacere -quanto il dispiacere- di passeggiare per alcune ore, ed estesamente, nella parte antica della nostra piccola città, Acri, soprattutto risalendo da Picitti verso Padia e poi in quella zona estrema di San Cataldo, che guarda, come la prua di una nave, verso la Valle del Crati, con una vista che toglie il respiro per bellezza e prospettive paesaggistiche.

Il dispiacere è avere constatato, in poco tempo dalla mia ultima precedente passeggiata, ora con maggiore attenzione, quanto degrado ormai si è impossessato di questi suggestivi spazi, quanti crolli, quanti abbandoni, quanta desolazione umana e quanta inciviltà nel vedere come tale abbandono sia anche frutto di disinteresse, incuria, insensibilità, marginalità. Non si contano le case sventrate, i tetti crollati, le pareti in pericolo su altre pareti che prefigurano situazioni di crisi statica a caduta, finestre e portoni muti, murati, senza vita; alberi, arbusti, siepi che crescono e si arrampicano ovunque, ricoprendo selvaticamente pareti, tetti, finestre, vecchie travi. Ogni tanto si vede un abitante, ma sono solo anziani; da qualche casa semi diruta sbucano giovani stranieri, pochi da quanto capisco; le comunità di vicinato, donne e uomini sull’uscio a conversare, sono scomparse, non si sentono urla di bambini che giocano, non ci sono segni di vita attiva, persi gli odori, poche piante nei vasi, solo segni di un progressivo abbandono che si impadroniscono di questi luoghi.

Non c’è nostalgia romantica e decadente in queste considerazioni, ripeto tra me e me, ma passeggiando tra queste rovine, mi chiedo però come sia possibile l’immaginare di aver desiderato, ad Acri, come in tutto il meridione, il volere conquistare un’agognata modernità in case nuove e funzionali, solo all’apparenza migliori, e disfarci della nostra memoria e del fascino dell’architettura autentica, nata in simbiosi con la natura dei luoghi. Mi viene in aiuto il lungo lavoro di ricerca svolto in questi anni come architetto e docente universitario, dedicato anche al difficile rapporto tra città antica e moderna, che mi conferma, come alla radice di tutto questo, ancora una volta, si annidi il grande equivoco del macro investimento nella crescita urbana esagerata e senza limiti, che ha alimentato di illusioni almeno un paio di generazioni, tra amministratori e cittadini, le quali pensavano che abbandonare la storia -dunque il “vecchio”- e conquistare il moderno -dunque il “nuovo”- era la salvezza del Sud e l’affrancarsi dalla povertà. 

Niente di più falso purtroppo e oggi, come una cartina di tornasole, riemergono le contraddizioni che ci stanno conducendo verso il fallimento del modello in-civile raggiunto: abbiamo consumato tanto suolo per fare la città (finto) moderna, e abbandonato un patrimonio edilizio e storico-artistico, abbiamo perso la socialità, abbiamo costruito case che consumano energia e inquinano, abbandonato quelle che consumavano nulla e non inquinavano, abbiamo fatto chiudere le botteghe che avevano cibo genuino e lasciato aprire i supermercati della grande distribuzione, abbiamo abbandonato la terra e la produzione agricola, e abbiamo 400.000 metri quadri -un tempo di bellissimo paesaggio agrario- che sono l’infinita distesa di case, fisionomia anonima di Acri “moderna”, uguale ad altre almeno mille periferie urbane al sud e al nord. 

Sulla collina alta, malgrado i crolli, la memoria e la storia invece si ergono maestre a ricordarci la civiltà e la bellezza smarrite, di questa parte si che ne riconosciamo la sagoma quando arriviamo e andiamo via, ne apprezziamo i contorni tra cielo e terra, ne elogiamo l’originale forma e peculiarità. 

Chi non si occupa di ridare nuova vita a questo grande patrimonio storico, non si occupa di memoria, e in fondo non si occupa di se stesso e delle proprie radici, e possiamo anche far finta di non vedere cosa sta accadendo alle nostre città storiche, ma il coraggio, l’obbligo, di restituire dignità a questi luoghi è un dovere civico,oltre che un impegno per amministratori e cittadini, nessuno escluso!

Pino Scaglione

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