La memoria del primo maggio e il tradimento di valori inalienabili

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Il I maggio è stato per tempo uno dei momenti celebrativi più simbolici del Novecento. Rappresenta le battaglie per un diritto e la memoria dei costi enormi in termini di sangue e vite, prima di arrivare alla conquista di condizioni lavorative decenti. Quanto le condizioni dei lavoratori fossero precarie e disumane è testimoniato dalla lunga storia di violenze e sopraffazioni perpetrate dai padroni ai danni di gente sfruttata fino al midollo, sottopagata e senza tutele. I martiri di Chicago hanno rappresentato uno spartiacque tra una concezione servile del lavoro – visto come concessione in cambio di uno svilimento della persona, colpita nella sua integrità morale, oltre che fisica – e il recupero di una dimensione di dignità e umanità nella prestazione della propria opera.

La celebrazione di quella festa ha, pertanto, significato per ogni lavoratore la commemorazione dei sacrifici enormi per il riscatto della propria dignità, oltre che la conquista di condizioni lavorative più umane. 

Oggi riteniamo che il valore simbolico di quella celebrazione debba essere recuperato e rivitalizzato, perché ci troviamo di fronte a un rischio concreto che il lavoro ridiventi una concessione e una mercificazione, in virtù della quale la sua concessione implica un nuovo sacrificio di valori imprescindibili. Questo vale a maggior ragione nelle realtà meridionali, dove la carenza di posti rende questo diritto ancora più precario e, non infrequentemente, gestito dal malaffare e dalla mala politica ai fini di raccogliere adepti o gestire consensi. Una forma di prostituzione morale tra le più abiette, alla quale molti sono costretti a sottostare per sfuggire alla fame. 

Ecco, allora, che il recupero della memoria storica del I maggio deve per forza coincidere con l’esigenza di riprendere la lotta per la riconquista di condizioni lavorative caratterizzate da giusta retribuzione e diritti sacrosanti, oggi ridiventati merce rara e sacrificati in nome di una precarietà contrattuale e normativa nella quale il lavoratore è il soggetto più indifeso della catena. I contratti a tempo indeterminato stanno progressivamente lasciando il posto a contratti provvisori con sempre minori garanzie a tutti i livelli. L’attuale condizione emergenziale non potrà che accentuare disoccupazione e sottoccupazione, in forza della quale chi ambisce a lavorare diventerà facile capestro di gente senza scrupoli. 

Di fronte a uno scenario simile c’è un solo modo: riprendere le battaglie, quelle lotte che avevano permesso ai lavoratori di acquisire dei diritti e delle tutele, progressivamente erosi e ridimensionati. 

La storia insegna che i diritti si conquistano e si preservano tenendo alta la guardia e sapendo che nelle lotte c’è sempre una parte giusta e una sbagliata. Noi siamo e saremo sempre dalla parte di chi lotta e rivendica diritti, fermamente convinti che sia quella la parte giusta. 

Della più grande utopia del XX secolo, una  cosa conserva ancora oggi tutto il suo fascio: l’importanza che veniva data al lavoro e al suo riscatto. 

“… Il riscatto del lavoro 

de’ suoi figli oprà sarà

o vivremo del lavoro

o pugnando si morrà!” (Inno dei lavoratori, 1886).

Via il I maggio, Viva il diritto a un lavoro dignitoso.

Massimo Conocchia

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