Tutti bussano a danaro!

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Il bussare a danaro è divenuto proverbiale ed è una pratica quotidiana, che diviene particolare in alcuni momenti.

Da studente, in Cosenza, negli anni ‘50 del secolo scorso, abitavo in casa di un signore, che, lavorando poco, non so il perché, cercava di bussare a danari, quando capitava. Un giorno si verificò una furiosa piena del Crati che straripò e produsse danni a quanti possedevano lungo le rive. Si pensò di venire incontro a quei miseri, che avevano subìto danni, col promettere qualche contributo. Il mio padrone di casa, che aveva la sua abitazione, posta in alto, dove mai quelle acque distruttrici sarebbero potute arrivare, mi chiese, essendo analfabeta, di scrivergli una richiesta di sovvenzione. Gli feci rilevare l’assurdità della sua richiesta. La risposta fu: – Non si sa mai… Forse daranno qualcosa anche a me –

La sua logica è quella di tanti, anzi tantissimi italiani, che nei momenti particolari bussano a danari, come il mio padrone di casa.

I napoletani, che hanno trovate geniali, raccontano una storia.

C’era un giovane, che assolveva agli obblighi di leva, e scriveva al padre, facendo continue richieste di danaro. Un bel giorno, il giovane militare fece l’ennesima richiesta. Il padre gli scrisse una lettera, nella quale si diceva, pressappoco: Figlio mio, devi stare attento, perché tu perdi sempre i quattro danari, che chiedi e richiedi. Ora te ne invio uno e spero che capirai, una volta per tutte, che devi custodirla bene questa carta. E vi accluse un quattro danari delle carte napoletane.

Un nostro concittadino, Michele Capalbo, direttore, fondatore e compilatore del periodico Il Moccone, a fine 800, sul quale conduceva fiere battaglie contro il sistema di quotizzazione delle terre, nelle quali si assegnavano le migliori a chi aveva, anche di troppo, e ai miseri, per essere in tema, le più misere. Il giornale a un bel momento fu costretto a chiudere. Perché?

Il nostro direttore scrisse e pubblico in prosa e versi. Fra questi ultimi scrive una ballata geniale intitolata “Il tressette”. È lunga, ma, per carità, non spaventatevi, riporterò solo il necessario, per dare un’idea e del poeta e dei versi e, ancora, di quanto accennato di sopra:

  Nella vita v’è un tressette

che si giuoca notte e dì

che giocar non si permette

alla gente che impazzì:

è un tressette bello e caro,

tutti bussano a danaro.

Gioca il re, gioca il corteo

gioca il papa, il cardinale,

gioca ognun: tenta la sorte,

come può, chi ben chi male;

a un tressette così caro

tutti bussano a danaro.

Gioca il prete, ed il mercante,

lo speziale e l’avvocato,

gioca il medico ed il fante,

l’ingegnere, il letterato,

l’artigiano, il pecoraro

tutti bussano a danaro.

Va dal ciel gridando Iddio:

voi m’avete avvezzo male,

giocar dunque voglio anch’io,

sono anch’io pel capitale

il tressette è così caro,

sì che anch’io busso a danaro….

Come promesso interrompo. Perché, vi sarete chiesto, si è tirato in ballo questo bussare a danaro? Ai giorni nostri, tanti, tantissimi che piangevano miseria fino a ieri dicono che in precedenza si guadagnava, mentre ora, purtroppo, ed è vero, anzi verissimo, non si batte un chiodo e si bussa a danaro. Ora è vero che tanti con questo virus hanno chiuso bottega e vanno sostenuti, ma vi sono anche quelli come il mio padrone di casa (che si trovavano a monte, mentre passava l’ondata), che, anche loro, bussano a danaro: chi sa che non ne abbiano parte. Se questo avviene, però, toglie a chi ha subito “l’allagamento”. O no?

Giuseppe Abbruzzo

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