Tra alchimia, magia bianca e scienza

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Fare il medico in Calabria nel XX secolo non era per niente facile. Oltre alla mancanza di supporti e alla carenza di strutture sanitarie, il medico si trovava spesso a dovere combattere con una concezione della malattia che era vista come castigo divino e per la cui cura il popolo si appellava non tanto – o per lo meno non solo – alla scienza ma anche alla religione e alla superstizione. Il medico era, in molti casi, l’ultima spiaggia,  quando tutta una serie di riti e rituali erano risultati vani.

In un siffatto contesto, in assenza di una rete strutturale in grado di sostenerlo, il medico faceva del proprio meglio ma la sua azione, fino alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, rischiava di essere scarsamente incisiva. Se poi prendiamo ad esempio realtà isolate come Acri, il tutto diventava ancora più difficile. Il 1978 è una data importante, e non solo perché nasceva ufficialmente il Servizio Sanitario Nazionale, ma anche perché, dopo anni di lotte, la città veniva finalmente dotata di un ospedale moderno e funzionale, con una rete di strutture e servizi in grado di rispondere alla domanda di salute anche dei paesi viciniori. Nell’ultimo ventennio del Novecento la medicina ha cominciato ad assumere connotazioni più moderne e il ricorso a riti e superstizioni ha finito gradualmente per lasciare il posto a pratiche mediche e scientifiche. Della fase precedente conserviamo un nitido ricordo: alcuni aspetti ricordano gli atteggiamenti attuali di una certa utenza no vax. All’età di 10 anni fummo convocati per la vaccinazione antivaiolosa (i coccia, cosiddetti): all’uscita dall’ambulatorio ricordiamo nitidamente alcune mamme, che prontamente si apprestavano con alcool e cotone a pulire la zona dove era stato scarificato il vaccino, in modo tale che non attecchisse. In pratica, si assolveva all’obbligo ma subito dopo si vanificava l’effetto della vaccinazione. La fortuna fu che il vaiolo negli anni ’70 era praticamente scomparso per cui non ci furono conseguenze a quei gesti insani. L’evento in sé è però sintomatico di un conflitto tra scienza e credenze popolari. Esempi del genere se ne potrebbero fare a decine: dalla pratica di “calmare” le verruche con rituali e formule pronunciate davanti alla luna piena, alla cura dell’ernia inguinale del neonato e dell’infante facendolo passare attraverso l’arbusto di una giovane quercia, “all’affascino”, ossia la cura del malocchio affidandosi a donne esperte, che recitavano preghiere e formule alla fine dei quali la forza della suggestione aveva non infrequentemente la meglio sul sintomo.  Alcune pratiche hanno resistito così a lungo che abbiamo fatto in tempo a vederli messi in pratica quando eravamo già giovane medico, agli inizi degli anni ’90. Un giorno si presentò a casa nostra, di primo mattino, un vicino che si era tagliato con un grosso coltello nell’atto di dissezionare il maiale per fare i salumi. C’era una ferita profonda dell’avambraccio sx, che il malcapitato aveva provvisoriamente trattato col tartaro  della cintura in cuoio dei pantaloni, che avrebbe dovuto fungere da emostatico. Per prima cosa levammo quella robaccia e disinfettammo la ferita prima di suturarla. Ci volle, però, del bello e del buono per convincere il signore che quella roba rischiava di far suppurare la ferita. Alla fine capitolò ma non senza manifestare il suo disappunto. Non parliamo, poi, delle voglie delle puerpere, per le quali, ancora oggi, si trova qualche marito pronto ad alzarsi in piena notte alla ricerca dell’oggetto del desiderio della consorte per non rischiare di ritrovarsi il figlio con un angioma (voglia). La donna che non vedeva soddisfatta la propria voglia finiva per toccarsi in zone dove non batte il sole per limitare il danno e far sì che la voglia non si manifestasse in parti visibili. Un quadro siffatto basta a rendere l’dea di quale lungo e difficile cammino si è dovuto fare per passare da una concezione arcaica e pericolosa della malattia e della cura a una concezione moderna e quanto pericolosi siano atteggiamenti moderni di diffidenza verso la scienza, che rischiano di riportarci indietro e costare molto cari ai nostri figli.   

Massimo Conocchia

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