Ma loro cosa ne pensano?

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Hanno parlato i politici, i dirigenti, gli insegnanti, molto anche i genitori, ognuno con le sue ragioni di sicurezza, di preoccupazione, di accortezza, di chiarimento, ma loro, studenti e studentesse, piccoli e più grandi, cosa pensano? Come hanno vissuto i mesi scorsi e cosa vivono e pensano ora? Ho fatto qualche domanda a qualcuno/a di loro, un piccolo riscontro estemporaneo, non rappresentativo, ma forse può essere importante sentire le loro voci, quelle che direttamente vivono nel quotidiano le modalità prescritte e decise “per loro”.  Faccio parlare loro e farò poi un piccolo commento finale.

“E’ stato brutto, ora un poco meno. Era brutto perché molti non riuscivano a collegarsi, rimanevano fuori, i prof si arrabbiavano, non riuscivano a spiegare bene, non si capiva molto, non potevamo dire nulla tra noi, alcuni di noi non volevano tenere accesa la telecamera, insomma era proprio brutto e triste. Ora che siamo di nuovo in classe è un poco diverso. Certo è ancora strano, siamo distanti, non abbiamo più una amica di banco, non possiamo parlare tra di noi, poi all’ingresso la misurazione della temperatura, e poi ci hanno diviso, non ci vediamo più tutti insieme, hanno fatto classi gemelle, e ci sono più prof che vanno nelle aule. Noi ora in classe non ci vediamo più tutti insieme, anche se poi ci parliamo di pomeriggio, io per esempio, dato che poi alla fine sono uguali, spesso faccio i compiti con un’amica che stà nella classe gemella. Certo è brutto, non possiamo fare le feste” (Anna, terza media)

“Alla fine ci stiamo arrangiando, lo abbiamo fatto anche nel momento peggiore quando eravamo chiusi in casa. Certo è così strano, ora siamo in classe, ma non è lo stesso, siamo più solitari, più distanti, proviamo a vederci poi fuori, all’uscita, tutti con le mascherine, anche dentro classe. I prof ci supportano ma che strani anni…” (Angelo, quarto liceo)

“Che strano, riusciamo a fare poco, abbiamo fatto poco, non possiamo frequentare i laboratori, le cose pratiche non le possiamo fare, non so cosa impareremo alla fine, si la mattina in bus ci parliamo, scherziamo, ma alla fine niente è come prima” (Roberto, secondo anno istituto professionale)

“le maestre ci vogliono bene, quando mi siedo mi tolgo la mascherina, mamma mi ha dato il gel, facciamo tante cose, giochiamo ma seduti, disegniamo ma non possiamo parlare tanto e non posso abbracciare la mia amichetta” (Irene, seconda elementare)

“prof. finalmente la vedo, mi ero proprio stancata di vederla sul video, certo siamo in pochi in presenza ma venire qui in aula è tutta un’altra cosa, certo stare in questa cosa mista, un poco qui e molti a casa dal computer è proprio strano, però stiamo imparando molte cose e poi le persone che sono a distanza le sentiamo in qualche modo vicine, certo che strano studiare così, e pensare che io ero venuto a Roma per socializzare con persone nuove… speriamo finisca presto, che gusto c’è così…” (Antonio, terzo anno Università)

Credo che non ci sia molto da aggiungere. Le loro voci arrivano chiare e forti. Imparare a stare a scuola senza il compagno o la compagna di banco con cui chiacchierare, vivere in un modo asettico e sterilizzato in presenza e vivere in una bolla senza corpi a distanza. Timori, domande, riflessioni che ci interrogano, la scuola a distanza crea diseguaglianza, lo dicono già molte ricerche, la scuola fatta in presenza con le pratiche di distanziamento crea spaesamento e disagio emotivo. Le pratiche di apprendimento miste (con presenza e remoto, come è per molte univeristà) impongono di imparare una sorta di percezione ubiqua in cui l’altro o l’altra che sono a distanza li percepiamo allo stesso tempo come assenti ma anche come presenti. Più tecnologie fanno molto, producono una quasi presenza ma non sono sostitutive delle pratiche di apprendimento con al centro i corpi e le emozioni. Come i corpi e le emozioni riescono a comunicare nella distanza virtuale e nel distanziamento fisico? Tornare in aula è stato importante, anche se distanziati, anche se in pochi, chissà se durerà e per quanto.  Il virus continua il suo viaggio con noi, noi siamo il suo veicolo. Ci dicono che le mascherine abbassano di 1000 volte la carica virale, forse abbassano anche la gioia quotidiana ma in tutto questo quante altre cose stiamo imparando? Siamo tutti sulla stessa barca… approderemo, speriamo presto, in un nuovo porto ma non saremo gli stessi di quando siamo partiti. Forse non è un male. 

Assunta Viteritti

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