La lettera d’amore

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Che giornata di emme…pensava Angelo, rintanato nel suo studio, levandosi gli occhiali e portando la mano sugli occhi stanchi. I suoi occhi non ne potevano più, non ne potevano più di vedere politici e amministratori corrotti, strade fatiscenti dell’età dei Borboni, sacchi di spazzatura in mezzo ai faggi della Sila, scuole che cadevano a pezzi, e mille altre brutture che ogni tanto avrebbe voluto scordare.

Per essere fine dicembre faceva caldo. Dalla finestra aperta entrava il guaito di un cane, assieme all’odore di erba tagliata. L’avevano tagliata al mattino. Gli piaceva quell’odore, forte ma non dolciastro, tipico dell’erba non avvizzita.

Guardò il ritratto con la foto di sua madre. Gli occhi, d’un castano miele, improvvisamente si accesero.

D’amore, d’infinito amore.

In quella vecchia foto in bianco e nero teneva in braccio suo fratello. Il respiro gli si fermò. Sua madre era proprio bellissima, la più bella delle quattro sorelle, un incanto, anche col capo avvolto da quel buffo cappello turbante, che probabilmente andava di moda in quegli anni.  

Si grattò il mento e iniziò a parlare con la donna del ritratto come se fosse lì.

“Mà qui è tutto un disastro. Dove sei? Con chi vado a lamentarmi da quando non ci sei più? Secondo te arriverà mai il giorno in cui i miei figli potranno vedere qualcosa di bello in questa terra maledetta? Il giorno in cui li porterò a San Ferdinando e racconterò di una volta in cui lì c’era un ghetto di braccianti immigrati, sfruttati a raccogliere arance per venticinque euro al giorno, che dormivano sui materassi rosicchiati dai topi, sotto una schifosa tenda, ma che ora abitano finalmente in case normali? e la sera possono pisciare in un bagno come noi, accendersi la luce, andare a dormire in un letto con le lenzuola pulite senza rischiare di essere sparati per avere rubato una lamiera per costruirsi una fottuta baracca come Soumalia Sacko?”

Al pensiero divenne cupo, alzò gli occhi alla parete come in cerca di risposte, passò in rassegna le foto dei viaggi, il poster dei Beatles, le locandine dei film di Alberto Sordi, infine li abbassò di nuovo sulla scrivania scorgendo una strana lettera.

La prese in mano. Si trattava di una lettera giallo paglierino indirizzata a lui, Dottore Angelo Fiorillo, in una bella calligrafia, inclinata a destra. Mittente Rosinella, senza cognome, senza indirizzo, senza timbro dell’ufficio postale. Evidentemente l’avevano consegnata a mano.

“Cose da pazzi”, si disse, “nell’era della posta elettronica, dei Webinar, dei Web Festival, c’è ancora gente che scrive a mano con la Bic nera? una delle migliori invenzioni di tutti i tempi, fra l’altro, la magnifica Bic nera.”

Incuriosito l’aprì e iniziò a leggere:

“Gentilissimo Dottore Fiorillo non vi arrabbiate se vi scrivo. Sono Rosinella, una vostra grande ammiratricia, seguo sempre i vostri programmi. Bravo, bravo, bravo. A dire la verità sono un po’ tristi, tutte quelle notizie di mafia, morti ammazzati, femmine fatte sparire come la povera Maria, cose brutte, parlate sempre di cose brutte. Però vi seguo lo stesso, non riesco a cacciarvi gli occhi da dosso, siete bello come la luce del frigorifero. Le prime volte che vi o visto a dire la verità non mi siete piaciuto, ma poi vi o sentito parlare e sentendo la vostra voce mi a presa la corrente elettrica a dosso. Che voce Madonna mia du Pettoruto, una voce che dico bella? Bellissima, dottore voi avete una voce che nnamora. Mi sono nnamorata della vostra voce. Mi era capitato una ventina di anni fa con una voce della radio, un uomo che presentava un programma di canzoni. Si poteva telefonare e richiedere la canzone, e così chiamaii per sentire Gli occhi di tua madre di Sandro Giacobbe. Poi un giorno l’o visto alla televisione e arrassu sia quanto era brutto. Mi passò subito la fantasia amorosa. Con voi dottore e diverso, voi siete speciale, soprattutto quando vi presentate in studio con la camicia bianca, bella stirata e pulita. Con quella voce mi fate un effetto che non so spiegare. Oggi per dire ero nel pollaio a ritirare l’ova frischi e pensando a voi mi e venuta una vampata strana, da sotto, una vampata incontrollabile, più stava, più aumentava, mi sentivo appiccicare come davanti al forno e poi o visto tutto nero che stavo per svenire. Ma dopo quel calore mi e salita come una forza cattiva che m’ a fatto tirare il collo a quattro pullastrelle, sì dottò avete capito bene, per colpa vostra, poi le o scannate e pulite belle belle.  Mo una ve la vorrei regalare per farci il brodo a Capodanno per i tagliolini. Abito a via Popilia 154 proprio di fronte al ponte Colatrava, quello nuovo moderno con chilli punte lunghe lunghe che a momenti toccano il cielo. Mo che l’ano illuminato per Natale pare proprio bello. Ve la volete venite a pigliari stasera a pullastrella cosi ci conosciamo e ci facciamo l’auguri per Capodanno?”

Angelo stralunato si prese la testa fra le mani e scoppiò a ridere.

Aurora Luzzi

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