Il Natale che cambiò la sua vita

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Era lì da ore sempre nella stessa posizione. Intorno a lei, le luci natalizie scintillavano e le persone le sfilavano davanti con le loro borsette piene di regali. Per qualche motivo, Erica quella sera poteva sentire il profumo di ognuna di loro colpire il suo naso congelato.

Si  era seduta su una panchina di marmo e non capiva se quello che sentiva sotto al suo corpo fosse il freddo o l’acqua che le impregnava i pantaloni. Aveva smesso di piovere da un po’ e non aveva fatto caso se la panchina fosse bagnata. Aveva bisogno di sedersi, di riprendersi.

Confondeva i colori, voleva coricarsi ma le girava la testa. Così, era rimasta con le braccia incrociate e la schiena eretta con lo sguardo fisso davanti a sé.

Erica sentiva anche una sorta di sensazione di vuoto dentro. Non capì se fosse dolore o semplicemente fame. Da quanto tempo non mangiava? Non lo sapeva neanche lei. Si era resa conto che fosse  la vigilia di Natale  perché le persone erano all’improvviso sparite dalle strade. Erano tutte a casa delle famiglie riunite intorno alla tavola e ora tornavano nelle loro abitazioni sommerse dai regali.

Erica si sentiva una statua di ghiaccio, immobile. Non riusciva a muoversi, né a piangere. Non sapeva cosa provava, come se la sua coscienza si fosse improvvisamente spenta. Avrebbe voluto trascorrere il Natale coi nuovi amici dell’università, ma erano tornati tutti a casa con le loro famiglie.

Anche Erica ne aveva una tutta sua, ma quell’anno si era rifiutata di tornare. Sua madre l’aveva fatta arrabbiare a tal punto che si rifiutò di incontrarla. Quindi, mentre tutti i suoi compagni si godevano una tavola imbandita con le famiglie, Erica se ne stava su una panchina umidiccia a farsi torturare dalle parole di sua madre. Non vali niente, qui non c’è più posto per te.

Pensava di poter concludere gli studi come i suoi fratelli, dimostrare che una donna può farcela. Credeva che Firenze fosse la scelta giusta. Aveva accettato un lavoro da baby sitter per mantenersi e le piaceva. Gli esami andavano bene, aveva anche conosciuto qualche nuovo amico con cui trascorrere un po’ di tempo.

Quando era partita, era convinta che avesse il mondo in mano. Troverò lavoro, mi laureerò e farò vedere a tutti quanto valgo. Pensava che non ci fossero difficoltà. Eppure, non ci volle molto per capire che la vera nemica era dentro di lei.

Erica non era una stupida, né un’irresponsabile. Era una ragazza con una grande pressione addosso, voleva sempre fare tutto al meglio. L’ansia era diventata insopportabile.

Una sera era andata a una festa con alcuni nuovi amici e aveva assistito a una scena che l’aveva colpita. Ragazze e ragazzi che di giorno erano ben vestiti e molto educati in università, la sera si trasformavano e si iniettavano strane sostanze tossiche nelle braccia.

Una di loro, Clara, aveva preso in disparte Erica e le aveva detto di provare. Non sai quanto ti rilassi questa roba! Ti fa dimenticare tutti i tuoi problemi. Una voce dentro lei le diceva che quella siringa le avrebbe rovinato la vita, ma lei non ci credette. Era così arrabbiata, con sua mamma, con i suoi fratelli, con quel docente che le aveva dato solo 23 all’esame di letteratura contemporanea, con se stessa, che diede la colpa alla sua coscienza e decise di sopprimerla con un’iniezione. La prima di tutta una serie.

Erica si era ripromessa che avrebbe smesso in qualsiasi momento. Anche su quella panchina, si ripeteva che non fosse una tossicodipendente. Nessuno in università lo era. Alla sera facevano quello che volevano, ma di giorno tornavano studenti normali. Lei avrebbe fatto lo stesso.

Eppure,a Natale, si sentiva davvero persa, abbandonata, con solo macerie nel petto.

Poi, a un tratto, comparve davanti a lei una figura scura, ma con due occhi che brillavano a distanza. Era un uomo con una lunga tunica. Le chiese come si chiamasse.

Erica credette di avere una visione e si ritrasse scostante, come un animale impaurito. Si sedette accanto a lei. Era da solo, di bell’aspetto e non tanto più vecchio . Scambiarono qualche parola, sul freddo, sull’inverno, sul paese natale di Erica. Il suo cuore si sciolse lentamente e, alla fine, seguì quel frate nella sua auto.

Aveva una Cinquecento minuscola e vecchia, color cioccolato. Erica vi salì senza sospetto, con una fiamma che si stava riaccendendo lentamente nel petto. Lui la condusse in convento, dove un altro gruppo di frati di tutte le età era riunito a tavola. Tutti le sorrisero e la accolsero con calore, augurandole un buon Natale.

Erica cenò con loro e raccontò tutta la sua vicenda. Terminato il pasto, sparecchiò con i frati e lavò i piatti. Il frate che l’aveva accolta si avvicinò a lei e la invitò a restare tra loro, fino a che non si fosse ripresa.

Le persone come te sono tutte creature di Dio, che lui ricompone, ricuce, ripara e rigenera.  Abbi cura di lasciarti splendere. Trova il modo di celebrare la vita, qualunque essa sia. Dio rimane fedele con tutto il suo amore: tu non morirai.

Erica rimase in convento un po’ di tempo e disse completamente addio alla droga. Il frate che l’aveva salvata si chiamava Silverio e la salutò con un grande sorriso luminoso. Al momento in cui lasciò il convento, era così emozionata che si dimenticò persino di ringraziarlo.

Si fece quindi una promessa: non potendo dire grazie a voce, lo avrebbe fatto attraverso i suoi gesti. Sarebbe diventata una persona migliore per gli altri. Nei momenti della vita in cui il buio prendeva il sopravvento, il sorriso di Frate Silverio l’avrebbe condotta come una luce nell’oscurità.

Ciao Aurora

Elena Ricci

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