Trent’anni fa nasceva “Mani pulite”: dipinto a tinte fosche di una politica malata e di un Paese alla deriva

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Con l’arresto di Mario Chiesa, presidente del “Pio Albergo Trivulzio” di Milano, prendeva il via, esattamente trent’anni fa,  quell’operazione che passerà alla storia come “Mani pulite”. Da allora e nei mesi successivi il pool milanese capitanato da Francesco Saverio Borrelli potò avanti una serie di indagini sfociate in arresti di politici di primo piano e grossi industriali e imprenditori. Il Paese si svegliava da un lungo torpore e si accorgeva che la quasi totalità della classe politica era fatta di un materiale molto fragile e, soprattutto, che ogni cosa si muoveva nell’ombra e sottobanco. Il finanziamento illecito dei partiti, divenuto lo strumento di sussistenza di una politica spendacciona, sprecona e vorace, mise in luce un sistema perverso sul quale l’intero sistema si reggeva. La gente, stanca e delusa, ha finito per solidarizzare con i magistrati milanesi, divenuti simbolo di una giustizia che non guarda in faccia nessuno e persegue malaffare e corruzione. Il simbolo più alto del crollo di quel sistema e della rabbia della gente resta l’immagine di Bettino Craxi costretto a rifugiarsi repentinamente in macchia davanti all’Hotel Rafael per evitare di essere sommerso dalla pioggia di monetine e insulti, che provenivano da una folle che, fino a poco prima, lo osannava. Il lavoro dei magistrati milanesi proseguì ma, se da una parte ha accelerato la morte di quella che viene chiamata prima repubblica, dall’altra mise in luce alcuni limiti e alcune storture che tacerle significherebbe non rendere un buon servizio alla verità. Un sistema malato è crollato anche grazie all’opera di quei magistrati coraggiosi. Tuttavia non si può non eccepire nel modus operandi del pool milanese un eccesso di protagonismo e alcuni tentativi di sconfinamento che non dovrebbero mai avvenire. Al pool milanese l’onore e il merito di avere scoperchiato un sistema corrotto e malato, accelerandone la fine. Tuttavia, quel tintinnio costante di manette e quella pioggia di avvisi di garanzia, percepiti dal comune sentire come certificazione di colpevolezza, piuttosto che come strumento di tutela, hanno finito per determinare esiti infausti e drammatici in alcune occasioni. La folla, come spesso accade in condizioni simili, diventa feroce, cieca e pazza. Una deriva populista che ancora una volta ha messo in luce i nostri limiti come popolo. Dopo l’ondata di proteste, ci si sarebbe atteso un nuovo corso. Le cose non sono andate, in realtà, secondo la direzione auspicata e attesa. Alcuni interpreti della prima repubblica, in qualche caso i loro sodali, si sono rapidamente organizzati e alla fine nulla di concreto è cambiato. Il lavoro del pool milanese ha lasciato sul campo alcuni morti e feriti ma non è realmente servito a imprimere quella rivoluzione delle coscienze e la presa d’atto della necessità di cambiare rotta. La corruzione è tutt’altro che scomparsa; ha trovato nuove forme e nuovi interpreti ma, nel concreto, sarebbe sbagliato dire che quelle indagini e quegli arresti abbiano portato a un mondo nuovo. “Il forte si mesce col vinto nemico, col novo signore rimane l’antico…” (Manzoni, Adelchi, coro: atto III, vv. 61-64). Ciò che è sostanzialmente cambiato è il rapporto tra politica e magistratura, con la prima che ha cercato di organizzarsi per arginare e in parte limitare la seconda. I magistrati, dal canto loro, o meglio alcuni di loro, hanno sfruttato quell’ondata di popolarità per sconfinare in altri campi (politica) , cosa che non riteniamo normale.  Da un lato e dall’altro, errori ed eccessi, pur nella consapevolezza che non si possono invertire i ruoli e che i corrotti restano, almeno per noi, corrotti, mentre  a chi perseguiva il malaffare va il nostro plauso pur riconoscendo, a distanza, alcune anomalie che, ancora oggi, a un occhio disincantato e disilluso, appaiono evidenti.

Massimo Conocchia

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