Scuola e politica

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A scuola non si deve fare politica! Così si dice. La scuola sarebbe un campo neutrale, dove non si mostrano i propri orientamenti politici (degli insegnanti e degli allievi). Eppure, la scuola impegna quotidianamente milioni di persone a stare insieme, a vivere esperienze e storie personali che producono cambiamenti culturali, valoriali, trasformazioni intime e profonde che durano nel tempo. 

Non è questo la politica: un complesso di attività, discorsi, valori, idee che si riferiscono alla vita di una determinata comunità di donne uomini. Dal greco pòlis, la città, lo spazio della vita civica, la politica indica la specifica dimensione dell’agire associato, del fare collettivo. Quale insieme più duraturo e quotidiano della scuola? 

La scuola è dunque “comunque” un campo della politica, se con questa intendiamo la ricchezza degli orientamenti culturali, valoriali che contribuiscono a formare identità e cittadinanza libera e democratica. In questa visione più ampia la scuola è uno spazio pubblico che prepara alla vita pubblica; quindi, la scuola è uno spazio politico. Anche se pensiamo alle discipline (italiano, scienze, geografia, storia, matematica, ecc.) queste sono sempre espressione della sfera politica. La poesia, la letteratura, la storia, la libertà della scienza, tutti temi che non potrebbero essere neanche nominati se non si immaginano in un campo pubblico dove discorsi, idee, attività, pratiche sono in dialogo e si confrontano di continuo. È dunque una illusione razionalista quella della scuola come campo neutro e apolitico. È invece proprio negli anni dell’istruzione superiore (ma anche prima) che si delineano gli orientamenti culturali, valoriali e strettamente politici che dureranno per la vita. 

Eppure, si parla della mancanza di partecipazione dei giovani alla sfera politica. Nel 2020 il Rapporto ISTAT indicava che la mancanza di partecipazione nei confronti dei temi politici riguarda circa il 30% dei giovani tra i 18 e i 34 anni e sfiora quasi il 50% tra i 14 e i 18mentre solo l’8% è coinvolto attivamente. Questi dati indicano forme di disimpegno politico giovanile del nostro Paese ma anche sfiducia ormai strutturale dei giovani verso le istituzioni politiche e partitiche,in calo costante dagli anni ‘80. Questo fenomeno non è solo italiano.  Nello studio europeo dell’Eurobarometro, dedicato alle elezioni europee del 2019, si evidenzia che solo il 50% degli elettori si è recato alle urne (meno tra i più giovani). Certo nessun partito propone in modo netto politiche per i giovani e conseguentemente solo i giovani sostenitori dei singoli partiti si recano alle urne. Consideriamo poi che meno del 40% degli italiani ha meno di 40 anni e questo indirizza inevitabilmente le proposte politiche verso la popolazione più adulta (nella ripartizione della nostra spesa pubblica il 37-40% è dedicato al sistema pensionistico e solamente l’8% all’istruzione e alla ricerca).Tutto si tiene.

Eppure, sono i più giovani a porre i grandi temi politici che riguardano le nostre esistenze future: Il clima, il pianeta, il destino degli animali e della natura. 

È quindi importante annotare gli esempi di iniziative che coinvolgono i giovani del dibattito politico. Nel 2018 è stato istituito il Consiglio nazionale dei giovani (Cng), nel 2018 sono stati scelti i delegati italiani che partecipano al Summit youth 7 (Y7) e al Summit youth 20 (Y20). Nel luglio 2020, in piena pandemia, è nata in Italia la Rete Giovani 2021, un insieme di più di 90 associazioni e realtà̀ giovanili che si sono unite per attivare un confronto intergenerazionale tra giovani cittadini e decisori politici e per favorire la creazione di un rinnovato progetto per il Paese. Esiste poi il Consiglio comunale dei ragazzi e delle ragazze (CCR). Un organo istituzionale consultivo creato in alcune località italiane e straniere, che è impostato sulla falsariga del Consiglio Comunale composto di soli giovanissimi e adolescenti. Un organo di rappresentanza eletto da ragazzi e ragazze residenti o domiciliati nel territorio comunale. Gli eletti restano in carica per due o tre anni, in base al regolamento adottato dai Comuni, i quali non possono deliberare in materia di politiche giovanili senza prima aver consultato formalmente il Consiglio dei Giovani. Abbiamo un C.C.R. anche ad Acri formato da giovanissimi che manifestano fin da piccoli la passione per la sfera pubblica. 

Coinvolgere i più piccoli nella vita civile, nella polis, è molto importante poiché significa imparare a gestire i conflitti, a consolidare le amicizie, a collaborare e a rispettare le diversità d’opinione, a costruire punti di vista, a sentirsi parte dei territori, a sentirsi cittadini dello spazio pubblico. Bisogna però andare oltre la scena politica partitica (localista e anche autointeressata) per recuperare il concetto di politica come spazio civico plurale e collettivo. Solo così si può compiere un’azione educativa utile a formare bambini che, un giorno, saranno in grado di affrontare i problemi del vivere civile con consapevolezza e capacità.

Spiegare la politica ai più giovani, anche a scuola, è semplice. È sufficiente parlare del ruolo delle regole anche nello spazio condominiale, o come prendere decisioni in un gruppo di persone, o come gestire una situazione in cui si esprimono punti di vista diversi o contrapposti. Si tratta di apprendimento esperienziale (si pensi al metodo “Debate” (qui un esempio https://innovazione.indire.it/avanguardieeducative/debate, di didattica creativa che pone al centro la formazione dei punti di vista individuali e non il conformismo della sola prestazione scolastica. I temi sono innumerevoli e possono essere tradotti in spazi laboratoriali in tutte le discipline. Dobbiamo solo farci una domanda: vogliamo formare bambine e giovani maturi, consapevoli, ricchi di idee e di diversità? Se la risposta è si deve allora pensare e praticare un diverso tipo di scuola dove il dialogo è il centro, dove il dibattito a partire da punti di vista diversi è al centro. Gli insegnanti hanno tanto lavoro davanti!

Assunta Viteritti

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