È caduta la manna dal cielo!

Bata - Via Roma - Acri

Nelle Sacre Scritture si parla della manna piovuta dal cielo, per volere divino, per sfamare il popolo ebraico. I Calabresi, perciò, coniarono i detti, ancora oggi in uso: – T’è caduta ‘a manna ‘e du cìelu! (Ti è caduta la manna dal cielo!), per evidenziare qualcosa di prezioso finito, fortunosamente, fra le mani di qualcuno; – Aspetta la manna ‘e du cielu (Aspetta la caduta della manna dal cielo), riferito a chi se ne sta ad aspettare che i problemi vengano risolti da divinità.

Galeno, nel De elementis sostiene che la pregevole “pioggia” cadeva sul “Monte Libano”; Giuseppe Ebreo “nelle solitudini d’Arabia”. Pochi sanno che la Calabria aveva il privilegio di godere del prodigio come scrive P. Giovanni Fiore da Cropani, nel 1691, perché: “sempre la converse il medesimo Cielo, e la secondò il medesimo Sole, e le nacquero in seno i medesimi alberi, e là piobbe, e là piove”, la manna. Giulio Cesare Recupito tramanda che un Calabrese, imperando Tiberio Augusto, ne aveva trovato l’impiego in medicina. Il citato autore ne canta meraviglia e pregio: “questo miracolo, che cade dal cielo è detta manna” ed è “come da angeliche mani elaborato”. Levino Lemnio ci fa sapere che il prodigio si verifica ad “Altimontum in citeriori Calabria”. Sappiamo, però, che si verificava anche a Campana, Bocchigliero, Caloveto, Simari, Policastro, Rocca Bernarda, Cropani, Pietrapaola, ecc.

Gli antichi autori scrivono che nelle selve, durante la notte, dai tronchi e dalle foglie di orni e frassini stilla la manna. E, ancora, che “ut interdum Neapoli manne Calabre uncia septem nummis aureis venierit. Quasi e Coelo imber aureus cecidisset”. Ci fermiamo qui.

Sembra (diciamo sembra, perché è questione ancora dibattuta) che furono gli Arabi a introdurre in Calabria il frassino da manna. Ma, come avveniva il “miracolo”? Fiore spiega che in Calabria si hanno due maniere: una “la dicono forzata, e viene fuora findendosi gl’Alberi, dalle ferite de’ quali, non so, ò se sangue, ò se lagrime; questo è pur certo, che ne vien fuori un liquore a color d’acqua, qual poi condensato in grana, o lunghe, o ritonde, o in altra figura, prende colore come di cera, qual’ora scorre da un torcio acceso, e sapore dolcissimo, come il latte e di mele”. Il prodotto, dice, è abbondantissimo e nel “ristretto di Campana, e Bocchigliero se ne possono raccorre, ogn’anno, da trenta mila libre, con utile immenso di chi la raccoglie, di chi la mercadanta, e della Regia Corte”.

La libra era un po’ meno di 250 gr. Il fisco impose sulla manna una gabella di 1.100 ducati; e, fu oggetto di “arrendamento” fino al 1785.

Altra “maniera” di estrazione è detta “di fronda, non già perché dalle frondi ella si produchi; che anzi dal tronco, con questo solo divario, che non sollecitata da nemiche aperture, ma dal solo caldo del Sole, che con dolcezza trae fuori à somiglianza di purissima acqua; onde à gara corrono à beverla l’api, le formiche, e somiglianti animaletti”. Niente incisioni, perciò, ma solo per effetto naturale. Il liquido, scorrendo su le foglie dell’albero, goccia a goccia, “al sopravenir del fresco, recato dall’aure de’ Favonij, quali à Mezzogiorno soffiano, ò dall’ombre della sera, si congela in grana di diverse figure”.

Va precisato che solo orni e frassini stillano manna con qualche differenza. Nei primi, la manna, “è a guisa di candidissima cera”, nei secondi “alquanto gialla”. Quest’ultima si riteneva più efficace in medicina.

Era, la manna che cadeva dal cielo? Fiore scrive: “Come poi possa dirsi pioggia dal Cielo, se ella è sudore degl’alberi”. Si è a fine 1600 e le spiegazioni scientifiche erano basate su deduzioni.

Nella Statistica murattiana, l’Intendente Galdi, il 12.5.1812, così ne scrive: “Nel distretto di Rossano vi sono boschi interi del fraxinus ornus. Se ne estrae la manna, che dona un frutto approssimativo di Libre 4.400”. Fa rilevare, inoltre, che “La medesima è di due specie, una detta in cannuolo, e l’altra in pasta. Ciascuna specie vendesi al prezzo di Lire una ogni libra”.

Il Padula ci dà notizie più prossime a noi: “La manna si trae dal frassino orno, grassa e in cannòlo. Questa si fa attaccare ad un pezzo di legno, che si conficca nella ferita dell’albero, e viene pura; l’altra con la terra”. Precisa che la varietà eccelsa si produce solo in Sicilia; e che la manna si ha solo in Sicilia e in Calabria: “Gli antichi la credettero rugiada del cielo, Virgilio la chiama roscida mella”. Il citato autore, che ha sempre presente il lato sociologico ed economico di prodotti e produttori fa rilevare: “La bianca, come lo zucchero, ci è ignota; perché i Calabresi furono sempre maltrattati, e nel secolo scorso quei di Cariati erano costretti di dare la manna al Borbone per un prezzo stabilito, e ch’egli poi rivendeva ad altri fittuarii per 32.000 ducati”. Un prodotto così prezioso era oggetto di furti, perciò, “Son sempre 10 contadini che si associano per difendere la manna dai ladri e dalle bestie, massime le capre, che ne sono avide”.

Chi raccoglieva la manna doveva pagare la decima al proprietario. Il lavoro di raccolta durava due mesi “agosto e settembre”, con cadenza settimanale. La manna, una volta raccolta, si poneva “ad asciugare all’ombra”.

Quanta manna produceva un orno? Una “libbra”, scrive Padula, “ma i grossi e rigogliosi ne danno fino a 10”. Egli ci informa che quest’industria era fiorente, tanto che, oltre al consumo interno, se ne spedivano a Trieste 10 quintali e a Napoli 5.

Giuseppe Abbruzzo

Bata - Via Roma - Acri

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

error: - Contenuto protetto -