Miseranda fine di un’epigrafe

Bata - Via Roma - Acri

Chi, per caso, si avventura a recarsi nel vecchio centro storico di Acri nota la pavimentazione sdrucita in più parti. All’epoca della messa in opera scrissi su “Confronto”, che quelle tessere, sotto la sollecitazione delle automobili e dei mezzi pesanti, consentiti da quelle strade, sarebbero saltate.

Immediata fu la reazione di un tecnico, in difesa dei colleghi progettisti. Immediata fu la mia risposta. Il tempo, purtroppo, mi ha dato ragione. Nei pressi della chiesa di S. Maria Maggiore quelle tessere saltano continuamente.

La pietà popolare le fa mettere a lato, a evitare qualche guaio a pedoni e automobilisti.

Vi è stata, anche, la pietà popolare che, vedendo la noncuranza di chi di dovere, ha riempito le buche con terra, ma la sollecitazione dei mezzi di passaggio ha vanificato il popolare rimedio.

Chi, dalla Piazzetta Azzinari prosegue verso il rione Castello, s’imbatte nel palazzo Talerico, dove ebbe i natali il celebre Vincenzo, al quale la Fondazione Padula ha dedicato un premio, nell’ambito del Premio Padula.

Vi era un’epigrafe anonima, ma stilata dal sottoscritto. Preciso che non m’interessa rivendicare la paternità di essa, come di tant’altro, ma ne scrivo, nella speranza che qualcuno vi rimedi.

L’epigrafe, apposta con cerimonia pubblica e relative giustificazioni degli oratori, senza, però, ricordare il povero anonimo estensore, giace, per la pietà popolare, poggiata a terra dietro l’asta, che la sorreggeva.

Sono sicuro che l’Amministrazione comunale e la Fondazione Padula, che la vollero, siano all’oscuro di tanto. D’altra parte chi s’avventura da queste parti?

Credo giusto ricordare come si giunse alla stesura e messa in opera dell’epigrafe.

Agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso venne in Acri la presidentessa dei Centri Storici Meridionali: la dott. Elena Croce, figlia di Benedetto. Chi scrive, da semplice cittadino, fu pregato di accompagnarla nel corso della visita. Lo feci di buon grado, come mi è capitato spesso di fare.

Quando giungemmo, rigorosamente a piedi, a Padia la Presidentessa mi espresse la volontà di indicarle la casa natale d’un suo caro amico. – Chi è? -, le chiesi. – Vincenzo Talarico -, mi rispose.

L’accompagnai. Fra l’altro, mi parlò tanto dell’amico bibliofilo, che non prestava i suoi libri nemmeno a pagarlo, dicendo: – Peccato! L’ho lasciato ad Acri! -.

Giunti a casa Talerico Elena Croce fece un’osservazione: – Non c’è nemmeno un qualcosa che lo ricordi!… -.

Riferii agli amministratori del tempo e dissero che avrebbero fatto scrivere qualcosa a giornalisti, poeti, scrittori suoi amici.

Così non fu. Dopo tempo mi fu chiesto di scrivere, io povero ignoto, in un paese di tanti che menano fama di autorevoli autori, e tracciai quel “ricordo”.

Basta sistemare un’epigrafe su un piedistallo?

Il tempo scolorì la scritta. Qualcuno provò a farla rivivere. Per i suoi sforzi si rese appena leggibile.

Nessuno si preoccupò di farla riscrivere.

Ora, come detto, l’epigrafe illeggibile, è appoggiata dietro quel che resta del piedistallo.

Crediamo sia un pessimo biglietto da visita per chi, conoscendo Acri come paese natale di Talarico, sentisse il desiderio di vederne esteriormente la casa natale, come la Presidentessa Elena Croce, che poi, mi scrisse un articolo per “Confronto”, che ognuno può rintracciare nelle annate messe a disposizione dei lettori dal nostro caro direttore Piero Cirino.

Giuseppe Abbruzzo

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