Quanto a tesori un’altra se ne narra
Una volta, a sera, gli anziani raccontavano di avvenimenti, di briganti, di magare, di orchi, di animali che parlavano o agivano proprio come gli uomini. Quei racconti avevano scopo pedagogico e si ascoltavano con interesse, apprensione, paura, a seconda dell’argomento trattato. Quanti di quei giovani ascoltatori non continuavano a sognare e magari vedersi protagonisti di quei racconti?
Quegli anziani erano formidabili narratori capaci di far rimanere inchiodati sulle sedie, per ore, l’uditorio. Uno dei temi trattati era quello dei tesori.
Ricordo un anziano letterato che, a sentire quei racconti, recitava i versi attribuiti ai fratelli Donato:
Pàtrima mi dicìa ch’ ‘u’ vali l’ùoru,
cà ccu’ li littarati nun c’è paru,
ma iu lu vorra trovari ‘nu trisùoru,
ppe’ diri: – Bonanotti! – allu livraru,
cà sett’ ‘i sapii de la Grecia fuoru
e tutti ùottu de fama crepàru!
Se il dotto considerava sul suo stato agli altri interessava il racconto, iniziante sempre con ‘Na vota, cumu dicìssi e cumu cuntàssi, c’era (Una volta, come si dice e come si racconta, c’era).
La narratrice spiegò che nella località S. Vito, nella quale è ambientata la storia, sorgeva un vecchio monastero bizantino, del quale non rimangono nemmeno i ruderi, ma se ne conserva il toponimo. Poi, cominciò:
“C’era una donna del nostro vicinato che non se la passava bene e desiderava di trovare un tesoro, per porre fine alla miseria. Una notte sognò un vecchio dalla barba bianca e lunga, come i capelli. La scosse e le disse: – Ascoltami bene; fai quello che ti dico e diventerai ricca -.
La poverina aprì tanto di orecchie e il vecchio disse: – Devi andare in contrada S. Vito e là uscirà, come per incanto, un gualàno (bifolco) con l’aratro e i buoi aggiogati, tutti d’oro massiccio.
Per impossessarsi di questo ben di Dio devi spogliarti nuda, come ti ha fatto tua madre. Attenta a quello che ti dico: uscirà un serpente grandissimo. Tu non dovrai avere paura. Ti leccherà e, poi, si infilerà in una ampollina, che ti sarai portata dietro.
Attenta a non meravigliarti! Perché se lo farai tutto sparirà”.
La narratrice fece una pausa e un bambino chiese, timidamente: – Lo fece? -.
“Lo fece; lo fece – proseguì la narratrice -. Andò a S. Vito. Era notte pesta. Si spogliò. Uscì il serpente. La leccò. S’infilò nell’ampollina. E…” (pausa).
– E? -, chiesero in coro i presenti.
“E la nostra vicina pensò: – Com’è possibile che un serpente così grande sia potuto entrare in un’ampolla così piccola? -.
A quel punto si sentì un rumore assordante come di catene.
Lei, la nostra vicina, non capì nulla di quanto succedeva. Si trovò rivestita e vicino la chiesa piccola del vecchio convento dei Cappuccini”.
Ognuno, deluso per l’esito negativo, che non aveva consentito di mettere le mani sul tesoro, commentò in modi diversi.
Qualcuno disse che avrebbe voluto fare un sogno del genere e cimentarsi in una di queste prove impossibili da superare.
Giuseppe Abbruzzo