Dall’archivio dei ricordi, tra memoria e sentimento

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Come abbiamo più volte avuto modo di sottolineare, l’avanzare degli anni porta, di riflesso, a riscoprire nell’archivio della mente immagini ed eventi che ritenevamo definitivamente andati. In periodici setup, il nostro sistema nervoso centrale risparmia e raffredda, evidentemente, i nostri ricordi più lontani e, man mano che si procede, la corteccia cerebrale (sede di archiviazione), in un gioco incredibile di sinapsi, si diverte in un’interrelazione tra ippocampo (luogo deputato alla formazione e consolidamento dei ricordi) e amigdala, che contribuisce all’elaborazione emotiva dei ricordi. Personalmente riteniamo che, nel nostro caso, l’amigdala stia assumendo un ruolo preponderante, se è vero, com’è vero, che la ricorrenza ritmica e periodica dei ricordi porta un coinvolgimento emotivo sempre più evidente.

Ci sovviene, in questo aspetto, nostra madre – e prima di lei suo padre – che si commuoveva man mano che rievocava scene della nostra infanzia o della sua vita infantile. All’epoca, quel commuoversi ci sembrava quasi un aspetto folklorico,  dosato a bella posta dalla genitrice per dare maggior peso all’oggetto del rievocare. Oggi constatiamo che non è così: la commozione si insinua nella nostra debolezza, nelle falle del nostro animo, generate dalla consapevolezza che quei ricordi e quelle immagini determinano, inevitabilmente, la presa d’atto di un qualcosa di perso per sempre. Un tempo lontano – ma non troppo- riemerge e con esso un’infinita carrellata di uomini e donne che hanno fatto parte o fanno ancora, per fortuna, della nostra vita.

L’ipertrofia della nostra amigdala fa sì che la commozione prenda il sopravvento e non solo per la parte dei ricordi legata alla sfera familiare ma anche per alcuni eventi legati alle nostre passioni giovanili, in primis la politica. Riemergono scene dei primi anni ’80 del secolo scorso, con alcuni protagonisti ormai non più in vita. I comizi, le accese discussioni nella sezione del P.C.I., le elezioni amministrative del 1983 – dopo il primo centro-sinistra -, le piazze affollate, i volti di alcuni interpreti o di semplici militanti. Ne ricordiamo uno, in particolare, il compagno Orefice (Mucuzzu ‘e frittuda), costretto in carrozzina dopo l’amputazione di entrambi gli arti inferiori per problemi circolatori, che si recava a votare per non fare perdere un voto al P.C.I..

Abitava di fronte alla sezione e, in occasione delle riunioni, pregava i dirigenti di attivare l’altoparlante presente sul terrazzo in modo da potere seguire il dibattito. Come non ricordare alcuni interpreti di quelle stagioni intense e passionali, a cominciare dai protagonisti locali, provinciali, regionali e nazionali. A volte ci appaiono in sogno in una sorta di dialogo dialettico sulla situazione presente e, anche in loro, prevale lo sconforto per l’attuale degrado e per come la gente, sfiduciata e tradita, non partecipi più al dibattito sul proprio presente e sul proprio futuro. Ci sono stati personaggi che hanno chiesto e ottenuto di fare precedere il loro nome sulla lapide dal sostantivo “compagno”.

Ci fu un signore che, avendo chiesto di essere seppellito col pugno chiuso e sollevato, creò non pochi problemi ai figli e a chi aveva il compito di cercare di mantenere una promessa ardua. Acri era un po’ la Brescello di Calabria, con i suoi contrasti, le scaramucce tra opposte fazioni ma era anche un luogo in cui si discuteva, si programmava, avendo un’idea di futuro, giusta o sbagliata che fosse. Nel breve volgere di quarant’anni, tutto è cambiato: gli eredi e i nipoti di quella stagione, non sempre fedeli alla linea dei loro nonni, li ritroviamo a volte in una riva diversa da quella di chi li aveva preceduto.

L’attuale marasma diventa, nei nostri ricordi e nei nostri sogni, il terreno acceso di confronto tra i vecchi interpreti e alcuni dei nuovi. I vecchi, spesso, rimproverano ai nipoti la dilapidazione di un patrimonio enorme, frutto di lotte e conquiste. Il tutto nella completa indifferenza ed apatia degli interlocutori moderni che scherniscono e si prendono gioco dei vecchi per la loro passione e ingenuità. A mente fredda riprende l’analisi del nostro vissuto e dell’enorme e inutile esercizio del rievocare. A che pro? Se non a farci prendere consapevolezza di un degrado che, raffrontato al passato, appare in tutta la sua drammatica mediocrità. E se invece avessero ragione gli attuali interpreti nella loro opera di distruzione sistematica di un patrimonio di idee e valori? Nel ritenere inutile il sacrificio di chi è morto perché loro avessero tutto?

L’altro ieri, abbiamo ripescato una bellissima stoccata dell’Onorevole Vittorio Foa, deputato P.C.I., al parlamentare missino Giorgio Pisanò in un dibattito televisivo: “Se avesse vinto lei io sarei ancora in prigione. Avendo vinto io, lei è senatore della Repubblica e parla qui con me”.

I ricordi sono così, portano dietro un patrimonio ambivalente. Son al tempo stesso fonte di commozione e tristezza ma anche elemento salvifico, recandosi dietro la  consapevolezza che le cose non sono sempre state come nel presente e che il sole potrà, magari,  tornare a splendere.

Massimo Conocchia

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