Rivoluzionari o perseguitati?

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Francesco Nicola de Mattheis, intendente di Cosenza, fu persecutore dei liberali cosi feroce che finì processato, in epoca borbonica, e al conseguente esilio, per il quale Padula scrisse Il Nettuno.

Inveì su quanti avevano preso parte ai moti liberali del 1820 in Calabria. Il 18 luglio, 1822, inviò a Napoli una relazione sui fatti di Tessano.

Si era notata l’assenza di Francesco Monaco da Dipignano e l’intrattenersi in S. Mango, dove operava il liberale Michele Orlando. Monaco, “settario in alto grado”, era in cattive acque, economicamente. Per la sua azione sperava “di non pagare i suoi debiti, di riprendersi i beni legalmente espropriatigli”.

Dei movimenti che si preparavano, secondo de Mattheis, “la fucina” era “Pasquale Rossi del vicino rione di Tessano più intrigante e facinoroso dell’altro, e settario irreconciliabile col Governo”.

Il supplente del giudicato regio, invitato dall’intendente fa sapere che, nei primi giorni di giugno, Monaco era ritornato a Dipignano, insieme a Orlando, e si trattenne “per alcuni giorni nella di lui casa”. Si evitò di arrestarli, per studiarne le mosse. “Partito Orlando da Dipignano – scrive l’intendente -, divenne il Monaco sempre più attivo”, continuando la corrispondenza col Rossi.  Monaco si trasferì in Cosenza “sotto pretesto di affari di famiglia e di cause pendenti in Tribunale”. Insieme alla moglie, Maria Antonia Barberio, frequentava casa Rossi. Mentre “Orlando si occupava della continuazione del suo giro, dovea il Monaco per la via del vicino rione di Tessano negoziare di notte tempo co’ rivoluzionarii di Cosenza”.

Orlando ritorna a Dipignano, insieme ad altri, la sera del 28 giugno. L’intendente ritiene che si cospiri. Il supplente del regio giudicato di Dipignano, la mattina del 29 lo avvertì che verso le “tre della scorsa notte eransi introdotti in casa Monaco, Michele Orlando di S. Mango, ed altri due compagni” armati di fucile. La mattina erano andati a Tessano “per conferire con Pasquale Rossi”.

Armata, per ordine del Giudice, la civica di Paterno, parte di quella di Tessano e di Dipignano raggiungono il primo paese per appostarsi in luogo opportuno, dal quale dovevano passare i suddetti. Orlando e compagni si diressero dal Rossi, che “dopo di averli accolti da buoni cugini, li portò accortamente da quell’Economo Curato D. Giovanni Carelli di S. Fili pel duplice fine di non mettere in sospetto il paese per l’arrivo di tre forestieri, e per incolparne il Paroco, salvando se stesso in caso di qualche sorpresa”.

Il parroco, da poco assegnato al paese, “per la cura delle anime non osando forse di dispiacere a Rossi qual prepotente del paese, consegnò al medesimo le chiavi di casa dove gl’incogniti si riposarono”. Rossi pensò ai cavalli, e il figlio “a provvedere frutti in campagna pel pranzo della mattina de’ 29, che nella casa del Carelli fu apprestato dal Rossi medesimo”. Gli ospiti, dopo aver pranzato, “partirono da Tessano a circa mezz’ora di notte, accompagnati da Rossi fino a fuori il paese, e l’esser tornati di nuovo dal Paroco la mattina del 30 allo spuntar dell’alba chiaro dimostra, che vi fu in quella notte qualche segreto abboccamento fuori Cosenza con Francesco Monaco e con altri”.

Si pranzò dal Parroco. Rossi e gli altri passeggiarono davanti casa Carelli. Si cenò in casa Rossi, dove il Parroco restò a dormire. I forestieri dormirono in casa del parroco. Quella notte, “Pasquale Rossi – precisa l’intendente – non si ritirò a dormire in famiglia” e, perciò, gli appare chiaro che “molte conferenze si fecero co’ forestieri, e forse con altri settarii riuniti la notte stessa in quella casa”.

La guardia civica la sera del 29 rientrò a Dipignano. Saputo dell’arrivo dell’intendente ritornò a Tessano “per assaltar la casa del Paroco al far del giorno, e sorprendere la comitiva”. Poche le fucilate “sia per mancanza di guida nell’esecuzione del movimento, sia per effetto del gran pericolo, al quale si esposero gli assaltati in rompere a colpi di grosso stile l’astrico della stanza, e gettarsi da disperati dentro d’un sottano, essi fortunatamente fuggirono dalle mani della forza pubblica, ed entrati su’ grani fu perduta ben presto la loro traccia”.

Il “servitore Lorenzo – uno dei fuggitivi – nel prender campagna ebbe un colpo dal capo civico”, e restò ferito “in una coscia, essendosi veduto cadere a terra, e rialzatosi fuggire a stento dietro i compagni”. L’intendente va a Tessano, “per esaminar da vicino le cose, assodar la pruova generica, e far prender dal Giudice tutte le deposizioni tanto degl’imputati, che de’ testimoni”.

La civica prima di ritirarsi, entrata in casa del parroco, ve lo trovò, perché “svegliato dalle fucilate uscì da casa Rossi per visitare la sua stanza, e domandare dell’accaduto”. Fu arrestato e tradotto a Dipignano, per esser interrogato dal Giudice.

Nella casa si trovarono “oggetti dentro una bisaccia consistenti in varie camicie, calzette, un pantalone di segovia nero, ed altro la maggior parte bagnati ancora dall’acqua”. De Mattheis farnetica e continua: “Si trovò pur anche una briglia, un grosso stile, lasciati per la fretta nel sottano, e due cavalli in una stanza di Rossi poco distante. Essi appartenevano a Michele Orlando, ed al suo compagno Raimondo la Rosa di Misuraca”. Cosa c’era di compromettente? Nulla!

Don Carelli fu rinchiuso nelle prigioni di Cosenza; Francesco Monaco e Pasquale Rossi si resero latitanti. Vane furono le misure per catturarli.

 “Martedì la sera – precisa l’intendente – giunse Michele Orlando in S Mango, lasciando i due compagni nascosti in un romitaggio detto la Buda due miglia distante da Martirano, ed in tenimento di S. Mango”. I perseguitati sfuggirono a ogni agguato. Si sospettò che “il servitore Lorenzo abbia preso la volta di Catanzaro, e che sia un uomo di tutta devozione e dipendenza di Poerio”.

Erano veri cospiratori, che agivano alla luce del giorno, o lo erano nella mente malata del De Mattheis?

Giuseppe Abbruzzo

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