Suor Mariangela del Crocefisso e il mancato processo di beatificazione

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Incredibile dictu! (incredibile a dirsi), ma nel caso che presenteremo anche a sentirsi. Così dicevano i Latini e noi lo ripetiamo non per sfoggio di cultura, che sarebbe sciocco, ma perché interessa qualcosa che riguarda il mondo ecclesiastico, che usava e, in alcune occasioni usa il latino.

Non si crederà vero quanto si scrive.

Di Suor Mariangela del Crocefisso, al secolo Maria Teresa Sanseverino – figlia del principe Giuseppe Leopoldo, che fece costruire il palazzo, in Acri -, si riporta che morì in odore di santità.

Vincenzo Greco scrive che ella era paralizzata della parte inferiore del corpo; morta si “venne, colle dovute cautele allo sperimentale salasso nel piede inaridito per la paralisìa, e subito zampillò il sangue ben lungi dal feretro, laddove essendo in vita appena gocciolava. Questo sangue al presente si conserva nel Monastero di Acri, non solamente incorrotto, e fluido, ma al sommo vivace”.

Altra volta ho scritto di questo sangue e del suo ritrovamento fortuito, da parte mia, fra un mucchio di libri, nel convento dei Cappuccini. Messo a parte il guardiano, P. Antonio Pignanelli, mi disse: – Come fai a essere sicuro che sia il sangue che dici? -. Gli feci vedere l’autentica posta nel retro di una specie di ostensorio, nel quale era custodita l’ampolla. Era del vescovo di Bisignano.

I resti mortali della Suora furono inumati nella chiesa annessa al convento, ora denominata S. Chiara.

La Sanseverino si riteneva morta in odore di santità.

Il Greco ne riporta un miracolo: “Afflitta una Religiosa per un umore scirroso si accosta con fiducia al feretro, dove il Cadavere giaceva della Serva di Dio; avvicina la destra, quale trova flebile alla parte offesa, ed istantaneamente scomparisce il tumore”.

La mia nonna materna raccontava che tanti andavano “a bussare alla lapide, che ne custodiva il corpo”, per impetrare grazie.

I resti, nel secondo dopoguerra, con pubblica cerimonia, furono recuperati e, non sappiamo con quale criterio, furono traslati nella chiesa dell’ex convento dei Paolotti.

A un certo punto, non sappiamo quando, si decise di raccogliere i documenti, per avviare il processo di riconoscimento di quella santità. Fu nominato il postulatore.

Negli anni 80/90 del secolo scorso mi trovavo nella tipografia Graphisud di Giulio Galasso, per preparare un numero di “Confronto”. Un ecclesiastico mi chiamò e mi fece vedere un fascicolo di documenti, riguardanti quel processo. Voleva vendermeli e mi sparò delle cifre al ribasso, ma che non mi consentivano l’acquisto, Vivevo col mio stipendio di maestro elementare.

Confesso che restai sbalordito: incredibile dictu! Proprio così! L’avvocato di parte si voleva vendere i documenti della causa, che doveva portare avanti e che, non sappiamo perché si era arenata.

Vi sembrerà incredibile, ripeto, ma, purtroppo, è vero.

Il postulatore morì. Riferii a un ecclesiastico il fatto sopra narrato.

Che fine fecero quei documenti?

Taciamo sul resto. Vi fu chi li visionò. C’è da chiedere: – Dove? Come si erano avuti? -.

Ne abbiamo scritto, perché la storia, come tante che riportiamo, ha dell’incredibile per i comuni mortali.

Giuseppe Abbruzzo

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