Imparare a scuola senza insegnanti?
Molte indagini recenti parlano delle promesse dell’IA che (forse) non vogliamo sempre ascoltare. Le grandi aziende dell’intelligenza artificiale nel mondo continuano a dichiarare di voler rivoluzionare il mondo dell’istruzione.
Promettono un apprendimento più accessibile, più personalizzato, più democratico. Ma ogni innovazione tecnologica ha sempre un prezzo. Chi lo paga questo prezzo? C’è un rischio che ormai conosciamo bene, un rischio che non ha bisogno di algoritmi per farsi notare: l’aumento delle disuguaglianze.
L’IA sta già esprimendo la sua invadenza in molti ambiti, ma in nessun altro campo il suo impatto sembra così imminente e così ambiguo come nell’educazione. Google e OpenAI, ad esempio, ci assicurano che renderanno lo studio più facile, più leggero, più umano, ma per chi, esattamente? Sempre la stessa storia: tutor intelligenti, lezioni su misura, apprendimento personalizzato.
L’ennesima promessa di un’istruzione “per tutti”, ma il retrogusto è familiare. Ricordate i famosi Mooc (Massive open online courses), dovevano rivoluzionare le università, eppure i corsi sono ancora lì, a disposizione di pochi motivati e connessi, mentre l’università reale – con i suoi costi, le sue selezioni, i suoi muri – è ancora in piedi (per fortuna). E allora perché stavolta dovrebbe essere diverso? Di recente Google ha lanciato “GuidedLearning”, un sistema di apprendimento guidato basato su Gemini, il suo ultimo modello linguistico.
L’idea è questa: l’IA analizza le lacune dello studente, crea schede didattiche personalizzate e propone contenuti su misura – testi, video, podcast. Il sistema ti chiede: “Preferisci leggere o guardare un video?” “Vuoi ascoltare un podcast creato apposta per te?” Un sogno per molti. Ma è davvero un sogno per tutti? Già, perché le domande giuste sarebbero altre: In quali scuole? In quali famiglie? In quali Paesi? E soprattutto: chi controlla questi contenuti? Quali saperi diventano prioritari? Cosa viene semplificato, cosa rimosso, cosa “ottimizzato” dall’algoritmo?
Il sistema di Google è stato sviluppato con la collaborazione di pedagogisti e insegnanti. Eppure, il messaggio finale è solo individuale, conta solo sulla motivazione singolare dello studente: “Dipende da te”. Sei tu lo studente, sei tu il prodotto, sei tu il responsabile. Ma siamo sicuri che a 14 anni (o anche a 30) si sappia davvero cosa e come imparare da soli accanto a infrastrutture non umane? AncheOpenAI ha lanciato una “modalità studio” gratuita su ChatGPT. E non è per beneficenza. La nuova corsa all’oro è quindi l’attenzione degli studenti. Più si fidano del sistema, più lo usano. Più lo usano, più imparano (forse).
Più imparano, più l’algoritmo impara da loro.L’intelligenza artificiale ha un potenziale reale per migliorare la scuola: può alleggerire il lavoro degli insegnanti, può aiutare a colmare i gap, può persino aumentare l’inclusione. E qui il futuro si divide in due binari. Da una parte un’educazione aumentata, dove insegnanti e tecnologia collaborano, dove le scuole diventano luoghi di sperimentazione e crescita, dove l’IA è uno strumento tra gli altri dall’altra parte una educazione diseguale, dove chi ha già accesso al meglio lo migliora ulteriormente, mentre chi è fuori dal sistema resta a guardare – o peggio, viene lasciato indietro, ma con una bella app sul telefono.
Molti dirigenti scolastici ancora oggi considerano la digitalizzazione un dettaglio. Molti insegnanti si sentono spaesati davanti all’IA, non sanno se fidarsi. Alcuni genitori la temono, altri la osannano. E nel frattempo, l’algoritmo avanza. Se l’uso dell’IA nell’educazione non verrà guidato da scelte pubbliche, collettive, politiche, il rischio è enorme: trasformare l’istruzione in un servizio personalizzato ma privatizzato, efficiente ma solitario, accessibile ma non inclusivo.
Serve un’alleanza. Serve una visione. Serve, ancora una volta, credere negli insegnanti. Perché l’apprendimento è, prima di tutto, relazione. È lo sguardo di chi ti dice: “Ce la puoi fare”. È la voce che ti sorprende, ti sfida, ti ascolta. È il corpo in classe, la pausa tra due parole, la risata che sblocca una paura.
L’IA può affiancare, potenziare, ampliare ma non sostituisce i significati umani del sapere. E se le cose miglioreranno davvero (anche con l’uso dell’AI), sarà come sempre, grazie alle persone.
Assunta Viteritti



















