La salina di Lungro nel 1821-1868

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Nel 1811 Giuseppe Melograni fu inviato dal governo a visitare le saline delle Calabrie. Nel 1814 vi fu rinviato per proporre “quei ripari che lo stato caduco ed infelice di esse esigeva”. Incominciò quella di Lungro, la più famosa e interessante fra tutte, perché più ricca di “contenuto salino”. Il risultato lo presentò nell’Istituto d’incoraggiamento alle scienze naturali di Napoli il 23.8.1821.

Questa la descrizione: “I lavori di questa salina cominciati una volta male, proseguirono avanti malissimo (…) senza disegno e provvidenza alcuna, doveano naturalmente risentirsi di un vizio radicale che presto o tardi tendeva a paralizzare il proseguimento di essi. In verità si lavorava là a destra e a sinistra come dettava il caso e l’ignoranza; ove la fatica era minore e la spesa più tenue; ove si potea ottenere in minor tempo un maggior prodotto in sale senza aver riguardo alcuno alla vera e soda economia, e senza prendere in considerazione la salute e la vita de’ minatori”.

L’inviato entra dalla buca del Mandriglio, solo ingresso della miniera. Sul toponimo congettura: “Forse detto da mandra, perciocché in esso si adunavano insieme ufjiziali, commessi, facchini, muli e vetturini”.

Il primo inconveniente è l’architettura sotterranea: “Ci sono molti cunicoli, passaggi e piazze, camere e vani, più o meno lunghi e larghi, alcuni dei quali non sono affatto fortificati, ed altri malamente; indi è che le volte soprastanti sono poco ferme e sicure. Non si conosce in essa l’intravamento fatto di legname, né la maniera di adattarlo, né tampoco si sa il muramento a calce. Alcuni di quei passaggi o cunicoli interni sono, come dicono quei direttori, fortificati ma di un modo stupido e barbaro. Tirano per esempio ove bisogna un segmento di cerchio, o due lati di un quadrato, e vi alzano un muro a secco, formato di barda, così detta nella lingua vernacola, composta di marna e sale, compagna indivisibile degli strati salini, da cui raso il sale che può facilmente staccarsi, il resto si abbandona come inutile e si conserva per le mura a secco”.

A proposito delle mura fa rilevare: “molte di esse si veggono uscite di sesto, e la montagna sovrastante labile ed abbassata minaccia ad ogni istante di seppellire vivi tutti quei che vi lavorano dentro”. Evidenzia altre incongruenze e dà i suggerimenti per rendere sicura e produttiva la miniera.

Il 16.5.1867 il Ministero delle finanze presenta un progetto all’apposita Commissione, su “lavori urgenti di costruzione necessaria alla regia salina di Lungro”.

L’ing. Pellati aveva fatto notare al Ministro che le condizioni della miniera erano precarie e pericolose per chi vi lavorava. “In questa miniera – diceva il presidente – non v’hanno pozzi e gallerie regolari; l’accesso ai lavori ha luogo per anditi e scale tortuose e irregolari; perciò i trasporti interni e l’estrazione dei materiali sono fatti a schiena d’uomo da oltre 300 operai in miserrimo stato. Gli scavi sono praticati senza alcuna regola d’arte”. Gli sterri restano abbandonati e ingombravano i passaggi e “le pareti scavabili”. La ventilazione era scarsa, perciò gli operai spesso erano costretti “a sospendere i lavori e ad uscire dalla miniera”. I magazzini minacciavano rovina.

I progetti presentati dagli ingg. Patrelli, Pellati, Tajani si erano ritenuti poco adatti e costosi, Si proponeva quello dell’ing. Pellati che prevedeva un pozzo verticale di ventilazione e di estrazione. Si aggiungeva a quest’ultimo “un apparecchio di estrazione e di evaporazione”. La Commissione, proponeva di vendere la salina a privati. Cosa decide la Camera? Decide la privatizzazione “preferibilmente a quel municipio”, nel caso di impossibilità di adottare altro progetto di legge per “le spese che sono indispensabili, ed utili sempre qualunque sia l’avvenire della salina”.

Giuseppe Abbruzzo

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