1863 – Propaganda e primi prodigi italiani

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Il 1863 bisognava creare qualche entusiasmo verso il nuovo re e dimostrare gli effetti del plebiscito e dell’annessione. Dimostrare che le cose stessero cambiando. Si pensò al più grande affare postunitario: la costruzione delle ferrovie. Va detto che in questo affare si dimostrarono le doti degli italiani belli e fatti: corruzione, imbroglio ecc. ecc. Riportiamo un episodio, che diede vita, a parer nostro, a un famoso detto.

Quell’entusiasmo doveva essere legato alla ferrovia, ma cosa avvenne?

Il corrispondente de La Civiltà Cattolica, dall’ex regno delle Due Sicilie, ci informa come si procedeva in occasione dell’inaugurazione della ferrovia di Foggia.

“Perciò si pose mano al pubblico denaro e se ne trassero quattro o cinque milioni da spendere nei preparativi dell’entusiasmo; si spedirono a luoghi opportuni le compagnie di comparse e di professori di chiasso e di dimostrazioni; s’invitarono centinaia di divoti a far corteggio gratis al Re; si sollecitarono con circolari i Prefetti, a fare che in tutto il tragitto da percorrere ogni cosa fosse posta in opera, a qualsiasi costo, per una pienissima rappresentazione di spontaneo precipitarsi de’ popoli ad acclamare al Re; pene corporali e multe furono intimate alle guardie nazionali, che non si trovassero a far parata; festini, banchetti, balli e teatri furono annunziati a vil prezzo, per trarvi folla”.

La ferrovia in questione, dato che in quegli anni le cose (ci è stato detto) si facevano per bene, era, non si sa né come, né perché era maledettamente malsicura.

Il cronista, infatti, precisa: “Vero è che la vita del Re fu posta a pericolo, poiché la via era sì mal sicura, che la locomotiva spedita a precorrere il convoglio reale, uscì dalle rotaie per ben due volte; ed un ponte sul Fortore oscillava per tal modo, che i meccanici conduttori tremavano di dover col Re ed ogni cosa precipitare nel sottostante abisso”.

Incredibile! La nuova Italia faceva queste cose? Si metteva a repentaglio la vita del re Galantuomo, per l’arricchimento di altri galantuomini?

Come Dio volle, comunque, il re e il seguito giunsero a Foggia.

Il re, fatta l’inaugurazione, raggiunse Napoli. Il seguito partì, il giorno dopo, per raggiungere Torino. Quel che ci narra il cronista, forse, fece coniare il ben noto detto: Fuggi da Foggia, ma non fermarti a San Severo.

“Gl’invitati a Foggia ripartirono ancor essi il 10 (n.d.r. novembre) per tornare a Torino, ma giunti presso San Severo furono sbattuti da fiera scossa prodotta dalla macchina, che uscita dalle rotaie andò a seppellirsi nel terreno, tutto molle per le dirotte piogge cadute in que’ giorni, e questa fu buona ventura, perché a qualche metro più in là correva grosso il fiume e se la locomotiva non s’affondava nel loto avrebbe tratto seco i viaggiatori, circa 600 persone, ad annegare nelle onde alte e rapidissime. Tutta quella eletta di Senatori, Deputati, dame, professori, direttori di giornali, del Governo se la passò netta con solo qualche contusione, ma ebbero la noia di uccidere sotto le quercie della vicina selva le lunghe ore che corsero dalle 11 del mattino alle 9 della sera quando giunse finalmente un convoglio a trarli dall’angoscia”.

Meno male che allora i lavori si facevano senza magagne!

È inutile! Con buona pace di D’Azeglio, gli Italiani erano belli e fatti.

Giuseppe Abbruzzo

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