Dalla civiltà contadina alla cittadinanza attiva

Bata - Via Roma - Acri

Sono nato negli anni Cinquanta del secolo scorso, anni in cui ancora si apprezzavano presenze della cultura e civiltà contadina, mentre si affacciava un orizzonte di modernizzazione che ha travolto tutti e stravolto tutto.

Avevo la percezione che i contadini, tra i quali mio nonno e mio zio paterni, fossero buoni perché vicini alla terra, alle piante, agli animali, alla natura. Ricordo che non litigavano mai e che sapevano fare di tutto, conducendo una vita serena, semplice, ma bellissima perché dentro un piccolo mondo di soddisfazioni, di cose pratiche delle quali accontentarsi.

Ho visto crescere Acri, dal vecchio campo sportivo -oggi villa comunale- circondato da poche case e tanta campagna, fino alla zona dei Merolini che andava edificandosi, popolandosi, nelle nuove case non finite -ieri come oggi-, di contadini, i quali come mio nonno e mio zio lasciavano la campagna per diventare “paesani”. Come loro sono stati tanti ad aver abbandonato i territori d’origine, Serricella, San Giacomo, Chimento, per riempire le costruzioni che crescevano nel centro di Acri, e che dovevano servire a dimostrare a tutti la civiltà (quale?) raggiunta, il progresso, l’emancipazione dalla povertà, dalla terra e dall’essere “tamarri”! Anche nei nuovi condomini, tuttavia, per lunghi anni si sono conservati calore e umanità, portati nel cuore dalla campagna di provenienza, e negli appartamenti, passati dal focolare a precari riscaldamenti, si coglievano ancora le sfumature delle stagioni e il senso di comunità non è smarrito per molti anni. 

Sono andato via -come tanti altri- giovanissimo da Acri, col desiderio e la speranza di tornarci, soprattutto per rendermi utile alla comunità in cui ho mosso i primi passi; nelle città che ho abitato e abito tuttora, vedo, nel quotidiano confronto, una civiltà diversa, senza dubbio peggiore, soprattutto per aver perso tanto in semplicità, spontaneità, bellezza, contatto con la natura che erano, e restano, i miei riferimenti vissuti e appresi nel mondo contadino.

Le ginestre odorose, i castagni in fiore, le acacie profumate e rigogliose, le viole, sono scomparse, invece ci turbano la vista cumuli di spazzatura maleodorante, quasi ovunque nelle piccole o grandi città, persino nei paesi. Dal vicinato siamo passati alcondominio, in cui nel tempo si è consumata la rottura del senso di comunità, e dove se ti manca il sale mangi la pasta insipida.

Le tante volte che mi capita di riflettere e scrivere su questi argomenti, mi sento sopraffatto da una nostalgia profonda, vinto da una forma di impotenza per non aver saputo, io, tutti noi, trovare una forma di equilibrio tra la bellezza del mondo che abbiamo lasciato e quello che ci ha letteralmente sopraffatti: possibile che non ci rendiamo conto che ogni risorsa non è infinita!

Eppure dobbiamo fermarci, interrompere la spirale dell’economia del capitale e immaginare nuove forme circolari: riflettere, pensare dove stiamo andando, che civiltà abbiamo costruito. La mia ultima figlia, diciotto anni, mi dice sempre: “papà saremo travolti dal cambiamento climatico e la terra si autodistruggerà” e questa sua affermazione mi fa venire i brividi, mi terrorizza, al punto che continuare a scrivere, lottare, elaborare, insegnare che un altro mondo è possibile, mi sembra l’unica via praticabile per rispondere a questo suo allarme.

Ma non basta, bisogna saper rintracciare gli echi del mondo rurale, perché esistono già forme evolute, emancipate, avanzate di “Cittadinanza Attiva”, di comunità resilienti, in Italia, nei paesi nordici, nell’Europa che oggi lancia il “Nuovo Green Deal”, un piano speciale per il riequilibrio ambientale ed ecologico, che deve riguardare tutti. Allora occorre prepararci, aiutare il nuovo necessario corso di civiltà attiva, anche nel piccolo di una comunità come Acri: usciamo dalle case, abbandoniamo i condomini, torniamo a passeggiare tra i prati, andiamo a raccogliere frutta e ortaggi nei campi, produciamo meno plastica, meno inquinamento, facciamo comunità, stemperiamo i conflitti, e pensiamo, infine, che forse due ingegneri in meno a favore di due contadini, saranno il giusto equilibrio tra la necessità di ritrovare quanto abbiamo perso e di conservare il meglio della modernità!

Pino Scaglione

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Una risposta

  1. Domenico Gallipoli ha detto:

    Quale famiglia acrese è disposta a far diventare i propri figli contadini piuttosto che laureati?

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