Ripensare il Sud, ora o mai più!

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Su un palazzo di Madrid, nei primi giorni dello scoppio della pandemia è comparsa una scritta simbolica che ha fatto il giro del mondo: “Non torneremo più alla normalità, perché la normalità era il problema”, Cacciari sostiene che sta morendo l’Europa, molti, tra opinionisti, intellettuali, artisti, scienziati, aggiungono che sta implodendo un concetto distorto di civiltà e che la modernizzazione malata e il capitalismo consumista e globale sono in crisi profonda.

Non abbiamo gli strumenti per capire se tutte queste affermazioni siano davvero fondate, lo sapremo nei prossimi mesi e anni, ma una certezza emerge su tutte, ed è quella che riguarda i dati statistici e scientifici: Milano e la Lombardia hanno subito, tra tutte le realtà, il maggiore danno dalla pandemia, di vite umane, sociale, economico, produttivo. Invece al Sud, da Roma in giù, abbiamo assistito, non solo ad una composta attenzione alle regole, ma soprattutto ad un significativo minore danno di contagi e decessi, risposte terapeutiche eccellenti di alcuni centri di cura (Napoli, Bari, Palermo), ad un equilibrio, seppure alterato, ma ancora positivo tra uomo e natura, ad una “isolamento” geografico e sociale, soprattutto delle aree e dei centri dell’interno che ha frenato il diffondersi dei contagi.

Ad Acri, per esempio, solo in questi giorni sembrano emersi dei casi, ma il numero è talmente esiguo da non destare allarmi, mentre li dovrebbero destare, come più volte ribadito, la precarietà delle strutture sanitarie locali e le condizioni in cui operano i medici e il personale sanitario, con pochi mezzi e solo molto saper fare individuale.

Aggiungerei, al dato della minore diffusione dei contagi, uno stile di vita, soprattutto nelle zone rurali, ancora agreste, a contatto con la natura, con aria pulita e lontanissimo dai tassi di inquinamento che hanno purtroppo determinato l’acuirsi della pandemia a Milano e nelle aree della Padania, altamente produttive e fortemente inquinate.

Proprio da qui sarebbe importante ripartire al Sud: abbiamo ancora aria e cibo quasi sani, dobbiamo tornare a farli diventare integralmente sani, e quella che ci viene attribuita come arretratezza -leggasi anche lentezza- questa volta si è tradotta in salvezza, e può tradursi, con progetti e idee innovative in un punto a favore di competitività tra Sud e Nord. Almeno dunque, e non per consolarsi, tutto questo ha rivelato che il modello “super” di Milano e della Lombardia se da un lato porta un maggiore benessere finanziario, dall’altro impone un prezzo da pagare per la salute, la natura, le relazioni umane, l’agricoltura e il cibo altamente insostenibile.

Se in molte aree del Sud i contadini hanno ancora uno stile vicino alla terra, se le aziende sono legate profondamente alla terra, prima che al profitto, se l’emozione per la bellezza della natura è ancora viva e si sta affermando anche tra i giovani, questa è una grande risorsa che rende diversi dalle produzioni intensive di quasi tutto il nord, dove le insalate e i prodotti sono pompati di concimi, le mucche da latte vengono iniettate di sostanze per aumentarne la produzione, le mele sono tutte dello stesso “calibro” e hanno sapore di tutto, tranne che di questo prezioso, antico frutto.

Ecco la “normalità” alla quale non dobbiamo tornare e che tutti ci auguriamo, per noi, per i nostri figli, sia messa al bando, non possiamo ricominciare come se nulla fosse accaduto, non possiamo nemmeno fare finta che ciò è frutto di casualità, bensì di un presente, e un recente passato, politico che hanno dimenticato i territori, i paesi, la natura, l’ecologia, i paesaggi, hanno disatteso per anni gli accordi sul clima, mistificato i dati sull’inquinamento, per imporre un modello di crescita di profitto e rapina, di povertà e disuguaglianza.

Se un vantaggio, da questo dramma si può trarre per i “territori lenti”, del Sud in particolare, questo deve essere organizzato, pensato, progettato da ora, le nostre economie meridionali, in piccola parte basate sul sistema circolare, possono fare da apripista per una diversa stagione di abitare le nostre terre e i nostri centri, il turismo naturalistico, l’agricoltura biologica, prodotti a Km0, devono diventare priorità, e il grande sogno della mega industria, miseramente fallito, deve restare solo come un incubo da rimuovere.

Tutto l’Appennino italiano, del sud in particolare, è la “spina dorsale verde”, il cuore naturale dall’Abbruzzo in giù, dove l’inquinamento è ancora minore, i rapporti sono ancora autentici, l’accoglienza sincera, la semplicità un valore. La Pandemia ha inoltre dimostrato che con una connessione wifi si può lavorare da qualsiasi parte, si può fare lezione, conferenze, incontri, anche stando in mezzo alla natura. Grazie anche al nuovo Piano per il Sud del Ministro Provenzano, nei prossimi mesi assisteremo, come in parte già avvenuto, ad una ulteriore fuga dalle grandi città, verso il sud e i piccoli centri, attrezziamoci perché non diventi un ritorno di nostalgia, di ripiego, ma una politica e una visione per cambiare quella “normalità” che ha prodotto danni e conseguenze nefaste.

Ma facciamolo in fretta e progettiamolo questo passaggio epocale, un diverso domani richiede visione e non improvvisazione.

G. Pino Scaglione

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