Per aspera ad Astra, infine uscirem a riveder le stelle

Bata - Via Roma - Acri

Lunedì  ho ricevuto la convocazione per la vaccinazione con Astrazeneca. Per l’intera giornata  ho tentennato, rimuginato, tergiversato. Io ho paura,  anche solo dell’ago figurarsi  di tutto il resto! E poi dopo l’altalenarsi di notizie, sfido chiunque.
La sera sono andata  a letto con la decisione  ferma: aspetterò il mio turno  anagrafico.
Preferirei che venisse  vaccinata  mia madre al mio posto.
Martedì mi sono svegliata , pronta come un soldato.
Vado a fare il vaccino,  senza se e senza ma!
Lo devo ai miei figli e ai miei  alunni.  Non avrei il coraggio di affrontare il loro sguardo,  non sarei credibile.
Sotto un vento di tramontana gelido per tre ore  attendiamo all’ospedale da campo.
Persino i soldati in mimetica  saltano sugli anfibi,  provano a scaldarsi. Distribuiscono ad un certo punto del the caldo, come si fa con gli atleti negli spogliatoi.
Noi non siamo atleti, siamo educatori,  siamo uomini e donne  in attesa di vedere la fine del tunnel.
A sera è  il mio turno, i soldati e il personale  medico devono essere esausti,  sono la trecentoquarantanovesima che accolgono  da stamattina. Sono gentili e pazienti. Le fasi burocratiche richiedono  un certo tempo. La tenda adibita a sala d’attesa per ironia  della sorte  è  allestita  con sedie e banchi scolastici, distanziati come in una aula. Penso subito che sia una beffarda nemesi. Ah, se potessero vederci e ascoltarci in questo momento i nostri  alunni!
È  il mio turno,  l’ufficiale  medico  mi rivolge le domande di rito. Firmo il consenso all’Astrazeneca. Mi accoglie un infermiere sorridente e benevolo. Sotto la mascherina  ha visto la mia paura, la mia voce vibra fino alle lacrime.
Scherza, mi rassicura. ” Perché  ha deciso  di farlo se non se la sentiva?” – Rispondo: ‘ Sono una educatrice”
– “Bene, professoressa.”
  Il tempo di voltare lo sguardo dalla siringa e ha già finito.  Non me ne sono accorta!  Chiedo il suo nome. Tra il sorpreso e il preoccupato  mi risponde: ” Mi chiamo  Mario. Perché?” – “Vorrei ringraziarla, chiamandola per nome Grazie,  Mario.”.

Qualche minuto di attesa  per evitare  effetti  sgraditi ed esco a ” riveder le stelle” .
La tramontana è  calata,  respiro libera da ogni tentennamento.  Il dado è tratto!
All’improvviso mi assale la consapevolezza di quanti lottano attaccati ad un respiratore,  di quanti sono in attesa del vaccino, di quanti non hanno visto  questa  alba.

Mercoledì sono al mio posto, nell’aula virtuale. Sento una energia strana, non è  merito del vaccino. Scherzo con i miei alunni: ” Mi sento bionica, a parte un cerchio alla testa. Sicuramente non è  l’aureola!”

A sera mi abbatte la febbre,  accompagnata da un freddo alle ossa. 24 ore di lotta con l’ospite inatteso! Vi assicuro non è  una passeggiata.

Chi si ammala  che micidiale guerra combatte!

Adelinda Zanfini

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2 risposte

  1. Mariacristina Zangari ha detto:

    Grazie cara Adelinda,
    grazie per questa tua testimonianza. Il timore e la paura si sono impossessati anche di me nella giornata di domenica, ma il pensiero è andato ai miei figli, ai miei parenti stretti, a tutte le persone fragili per le quali io non vorrei mai costituire un pericolo. I dolori non lo nego, sono stati forti ma di certo nulla rispetto a chi si trova nelle terapie intensive a combattere contro la morte. L’ospite è entrato con violenza anche nel mio corpo ma io ho fatto a pugni con lui, per i miei affetti e e per la mia comunità, quella scolastica e quella in cui vivo. Spero possa aiutare chi è in dubbio a scegliere di lottare come abbiamo fatto noi!

  2. Adelinda Zanfini ha detto:

    Rendere visibile la propria fragilità non è semplice, se può servire anche ad uno solo degli indecisi ben venga. Le esperienze comuni ci rendono più consapevoli dei rischi ma anche delle opportunità che ad altri non sono offerte. Non ci sono atti eroici ma atti umani, a volte troppo umani, da compiere. La stima per il tuo/ vostro operato e per le vostre testimonianze è infinita.

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