Scene da far west di oltre cinquant’anni fa
Verso la fine degli anni ’60 e le prima metà del decennio successivo il Sud presentava, specie nelle realtà di provincia, alcuni aspetti che ricordavano vagamente alcune scene dei film di Sergio Leone. In alcuni ambienti il confine tra la vita e la morte era quanto mai sottile e, per motivi futili , poteva scoppiare una rissa che, non infrequentemente, finiva nel sangue.
Le cause erano da ricercare in vari ambiti, da quello socio-antropologico a quello più prettamente culturale. Un malinteso senso dell’onore imponeva che ogni offesa – o supposta tale – andasse lavata nel sangue. Alcuni personaggi – che riportano alla mente il “Don Giovanni di Sicilia” di Vitaliano brancati – li ricordiamo nitidamente: baffi ampi, basette, unghia del dito mignolo sproporzionatamente lunga per aprire agevolmente il pacchetto di sigarette, camicia sbottonata e area da “duro” che mal tollerava anche un’occhiata più insistente.
I luoghi privilegiati erano le cosiddette cantine, ossia i luoghi deputati allora mescita di vino. All’interno si accendeva la miccia, per futili motivi, che si sviluppava giocoforza all’esterno per chiara volontà dell’oste. A quel punto, si tirava fuori dalla tasca il coltello a scatto e si cominciava a combattere per dirimere ogni questione: da un presunto imbroglio a carte, a qualsiasi altra stupidaggine venisse puntigliosamente ritenuta motivo di difesa di onore e dignità. In quegli anni, qualcuno ha pagato con la vita una battuta, uno sguardo di troppo.
Casi di ferite da arma da taglio erano all’ordine del giorno, specie in alcune festività, quando, per via della fiera, la città si popolava anche di gente forestiera, versa la quale, probabilmente, le occasioni di attrito erano più facili. Per certi versi, i fatti appena narrati, appaiono lontani e, forse, lo sono. Per altri un po’ meno: ci sono realtà nelle quali, ancora oggi, si muore per avere pestato erroneamente il piede a qualcuno e avergli sporcato involontariamente la scarpa. Il ricorso alla violenza resta ancora, sia al Sud che al Nord, senza eccezioni geografiche, sotto mutate spoglie, il mezzo privilegiato di chi non altri strumenti di espressione.
Cinquanta o sessant’anni fa, peraltro, alcuni tipi di violenza erano ritenute normali e restavano confinate tra le mura domestiche: la violenza di genere, quella verso i minori, assurta a sistema educativo prioritario, rientrano sicuramente tra queste. Il mondo che abbiamo descritto, aveva, se non una scusante, per lo meno un’attenuante, che era legata a una generazione che proveniva dalla guerra o che ne aveva visto gli effetti, che, in molti casi, non aveva avuto possibilità di crescita e formazione culturale. Un mondo nel quale la violenza fisica era anche un modo di affermarsi e sopravvivere. In ogni epoca le dinamiche sociali si sono sviluppate differentemente in base agli eventi generali, ai contesti particolari e la violenza è stata e rimane, purtroppo, un elemento connaturato nella natura umana.
La violenza di oggi, però, è nella maggior parte dei casi afinalistica e perpetrata, non di rado, da ragazzi di cosiddetta “buona famiglia” che, un po’ per noia, un po’ per pseudo trasgressione, si scagliano contro persone deboli o scarsamente capaci di reagire. Il branco, spesso, è lo strumento d’azione, che funge anche da scudo e protezione. Una violenza che, in molti casi, si scatena anche verso persone care, genitori o familiari, che hanno il solo torto di tentare di frapporsi a un modo di essere.
La violenza di oggi è una manifestazione deteriore di un universo che ha smarrito valori e idee cui aggrapparsi. Egoismo e individualismo ne sono i tratti distintivi. I legami affettivi ridotti all’osso e, in quest’ottica, tutto è possibile. C’è da chiedersi quanto grande sia la responsabilità nostra, come genitori e testimoni di un mondo orami andato, nell’attuale deriva individualistica.
La scuola ha perso definitivamente il suo primato nella formazione e non di rado gli insegnanti sono visti più come bersaglio su cui i genitori sfogano i propri fallimenti con i figli che come componenti di una formazione. Non di rado lasciati soli a combattere, gettano la spugna di fronte ad attacchi immotivati, verso i quali non hanno tutele e difese. Anche di questo, come genitori, qualcuno, un giorno, nella valle di Giosafat, ci chiederà conto.
Massimo Conocchia