30 ottobre – 2 novembre: un tempo sospeso tra cielo e terra, tra culto e memoria
Il periodo compreso tra la festività del compatrono Sant’Angelo e la ricorrenza del 2 novembre assume ad Acri una connotazione particolare. Nel volgere di 4 giorni, si susseguono ricorrenze importanti. Si inizia il 30 con la Festa di Sant’Angelo.
Il legame tra la comunità presilana e il Predicatore asceso alla gloria degli altari è profondo e va al di là della ritualità e della fede. Il legame con Sant’Angelo è sentito da ognuno come profondo e non formale. Non è un autunno qualunque: è un tempo sospeso, di passaggio, nel quale il confine tra il visibile e l’invisibile si fa sottile, quasi poroso. Sant’Angelo è figura ben inserita nel cuore di una comunità che non ha mai smesso di riconoscersi in Lui.
In questo periodo dell’anno, Acri diventa un luogo nel quale il tempo si mescola con la memoria. Il culto verso il Santo non è mai statouna mera questione religiosa ma un atto identitario profondo. Celebrarlo significa riconoscersi come comunità che condivide radici, valori e una certa idea del vivere, fatta di spirito di sacrificio ma anche di calore umano, ospitalità e dignità silenziosa.
Molto di più, dunque, di un appuntamento liturgico, in virtù di un legame profondo e sentito con un Santo vissuto come figura vicina al popolo e agli ultimi in particolare. E’ certamente anche un importante momento liturgico ma non solo. Appena il tempo di spegnere i fasti della festa patronale ed ecco che il tono si fa ancora più intimo e raccolto. In Calabria, e ad Acri in particolare, la commemorazione dei defunti non è solo un atto privato, ma un momento collettivo, comunitario.
E’ una liturgia del ricordo, che rinnova l’appartenenza a una catena di generazioni, fatta di volti, nomi, storie che continuano a vivere nella memoria degli affetti. Questo legame con chi è trapassato si manifesta in molte dinamiche, tutte legate da un principio di fondo: chi ci lascia non lo fa mai in maniera definitiva. Non solo il ricordo ma anche il simbolismo contribuiscono a una materializzazione dell’ignoto che è, in ultima analisi, un modo per far rivivere chi non c’è più.
Dal rito di cucinare “ppe’ l’arma ‘e di muorti” al simbolismo legato ai sogni, in virtù dei quali i defunti mantengono un legame con chi è sulla terra, alla commemorazione diretta, facendo visita ai nostri cari, vi è tutta una cultura che tende a materializzare, in vari modi, l’immateriale. Si tratta, in definitiva, di un tempo che invita alla riflessione, alla sospensione del rumore, alla riscoperta del legame con ciò che non si vede ma si sente. Che sia la fede nel Santo o la memoria di chi ci ha lasciati, tutto riconduce a un tempo nel quale Acri si racconta non solo come entità geografica ma anche come comunità spirituale.
Massimo Conocchia



















