Il rumore del nulla, ovvero il qualunquismo digitale
Si vive in un’epoca dove il pensiero si è fatto rapido, spesso istintivo, e quasi sempre privo di analisi. La nostra è l’epoca del commento immediato, del giudizio lampo, delle onnicompetenze, in una parola dei tuttologi da tastiera. Analisi, ponderatezza, acquisizione di competenze e studio della situazione prima di esprimersi sono diventati die surplus.
Basta una tastiera e una connessione a internet per autoproclamarsi esperti in qualsiasi disciplina e, pertanto, discettare. Il tutto porta a un’arena digitale nella quale ognuno spara sentenze e su quelle sentenze si scatenato dibattiti animati. La fondatezza, il contesto, la complessità delle tematiche appaiono come inutili fardelli di cui disfarsi in nome del proclamato diritto di opinione, che è sacrosanto, certo. Ma accanto al diritto di espressione ci dovrebbe essere il dovere di sapere e conoscere ciò di cui si parla.
Il qualunquismo, un tempo espressione e appannaggio di una ristretta cerchia di disillusi, è divenuto oggi una specie di norma sociale. L’antipolitica, il disprezzo per le competenze, la diffidenza verso qualsiasi forma di sapere strutturato sono divenuti atteggiamenti condivisi e, spesso, rivendicati con orgoglio. Per restare fedeli alla premessa – e non abbandonarsi all’andazzo – bisognerebbe ammettere che questo modo di vedere è frutto, a sua volta, di un radicale cambiamento nel modo di pensare. A cominciare dal mutato rapporto tra studenti e insegnanti e tra questi ultimi e i genitori. Lo studente ha sempre ragione e, in caso di risultati infruttuosi, la colpa è sempre degli insegnanti, non infrequentemente costretti a scusarsi per avere fatto il loro dovere. E’ pleonastico dire che un tempo non era così.
Di fronte a risultati deludenti, a scusarsi non era l’insegnante. Era anche questo un modo di crescere e imparare ad assumersi le proprie responsabilità senza ricorrere ad “avvocati d’ufficio”, ignari del male che fanno ai propri figli. Sapere, obblighi, responsabilità hanno assunto via via – in un contesto sociale nel quale si tende a giustificare tutto – un ruolo secondario. In questa cacofonia di pensiero la figura dell’esperto viene spesso ridicolizzata. Chi studia è considerato elitario, chi riflette di essere ambiguo, che invita alla prudenza è tacciato di vigliaccheria
Il dubbio, quasi sempre espressione di un lavoro critico ed elaborativo, è un lusso che pochi si possono permettere in un mondo che premia solo certezze granitiche, il più delle volte infondate. Il dibattito, quello vero, espressione del pensiero critico, così come il confronto, erano e rimangono occasioni di crescita culturale di arricchimento. Le scorribande dei “leoni di tastiera” usano le armi dei like, il cui scopo non è comprendere ma prevalere. Si fa a gara a chi le spara più grosse. Questo modo di procedere non è solo fastidioso ma pericoloso perché spegne e mortifica il pensiero critico.
Ci sono situazioni nelle quali il silenzio è d’oro perché stimola il pensiero e l’elaborazione mentale prima di esprimersi. Un’analisi critica di ciò che sta avvenendo nel mondo permetterebbe, forse, una maggiore consapevolezza del presente e delle sue dinamiche, permetterebbe a ciascuno di farsi un’opinione critica su ciò che avviene senza sposare aprioristicamente il pensiero dominante. In tal modo anche fenomeni recenti e meno recenti – penso alla situazione in medio Oriente, alla guerra Russo-Ucraina – apparirebbero più chiari.
Non so quanti abbiano ricordo delle cause della terribile invasione russa del febbraio 2021, che tutti condanniamo. Un’analisi profonda non conviene a molti, tra cui l’Europa, che da anni ci propina una favoletta, omettendo di dire che quella terribile invasione è stata scatenata dalla decisione ucraina di volere aderire alla Nato, fornendo, al tempo stesso, la disponibilità ad ospitare basi e missili nucleari Nato sul proprio territorio, ossia alle porte della Russia. Chi ha i capelli appena un po’ più grigi di noi, ricorderà la sacrosanta reazione del Presidente Kennedy di fronte alla decisione di Kruscev di utilizzare Cuba come base missilistica. Fu quella un’occasione che rischiò di innescare un terzo conflitto mondiale.
Oggi, a parti invertite, la reazione russa è analoga all’atteggiamento americano dei primi anni ’60 ma la narrazione imposta è quella di ignorare le causa dell’attuale condizione, in nome della quale ci si chiama ad ulteriori sacrifici in nome dello spauracchio russo. Analoghe considerazioni si potrebbero fare sul conflitto arabo-israeliano ma ci porterebbero troppo lontano e rischieremmo di essere tacciati, sulla base del pensiero dominante, di essere antisemiti e non lo siamo. Sono situazioni indubbiamente complesse, sulle quali – per restare fedeli al nostro assunt – ci fermiamo e tacciamo, nell’inutile speranza che qualcuno decidesse di fare altrettanto prima di qualsiasi considerazione.
Massimo Conocchia



















