1559 – A proposito di debiti non incassati dall’Università

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Una piaga, comune a tutta l’Italia, è la riscossione dei tributi dovuti dai cittadini ai Comuni.

Nel 1559, facendo seguito al precedente intervento, Carlo V ordinava quanto segue, dato che il sindaco e il I eletto dovevano rendere conto della loro gestione:

“perchè non è giusto, che si ritardi il pagamento di quelle quantità, che si dovranno all’Università, stabiliano, ordiniamo, e comandiamo, che ‘l Sindaco, ed altra persona deputata all’amministrazione del danari, l’esigano da quei, che debbono, subito che sarà giunto il tempo del pagamento, con astringere i debitori a pagare realmente, e con effetto, di modo che alla fine del loro ufficio, ed

amministrazione, non abbiano a consegnare residui a loro successori; e facendo altrimenti, sieno obbligati a pagare di loro proprj danari le quantità debite, e non esatte, una co’ danni, ed interessi;

verum se da alcuno, non si potesse esigere, perché fosse impotente, debbano farlo intendere all’ Università, e concludendo l’Università con intervento, e parere del Capitano, e Giudice della Terra, seu Castello, che quelli sieno impotenti, e che non si molestino, in tal caso a’ detti Sindaci, seu Esattori sieno fatti buoni, ed ammessi i residui del predetti impotenti, e non si debbano da loro molestare altrimenti, e similmente non sieno obbligati per quelli pagamenti, de’ quali nel tempo di loro amministrazione non fosse ancora venuto il tempo, o fossero alcune quantità dell’ultimo tempo, quando è per lasciare l’amministrazione, le quali verisimilmente non s’avessero potuto esigere”.

Si potrebbe pensare che il sindaco e l’eletto avessero potuto adottare la suddetta scappatoia, ma, anche ad evitare questo si stabiliva: “perché il Sindaco, o altra persona deputata all’amministrazione de’ danari dell’Università, non possa allegare escusazione alcuna, quando non facesse l’esazione di qualsivoglia quantità da’ debitori dell’Università, subito giunto il tempo del pagamento, come son tenuti, stabiliamo, ordiniamo, e comandiamo, che detti Sindaci, o altre persone, ut supra, debbano in scriptis appresso del Mastro d’Atti della Città, Terra, Castello, o Villa, richiedere il Capitano, ed Ufficiale deputato all’amministrazione della Giustizia, che voglia astringere i debitori dell’Università, i quali saranno renitenti a pagare di qualsivoglia qualità si sieno, alla reale, ed effettuale soddisfazione; il quale Capitano, seu Ufficiale, vogliamo, che sia tenuto ad ogni loro requisizione statim, ed incontinenti, summarie, simpliciter, et de plano, ac sine scriptis, et figura judicii, etiam non er scripto justitia mediante, costringere tutti quelli, che saranno veri, e liquidi debitori dell’Università per qualsivoglia causa alla reale, ed effettuale soddisfazione di quanto dovranno, omni mora postposita, e detto Ufficiale non debba per tal causa pigliare, né far pigliare pagamento alcuno da dette Università, e se dopo la detta requisizione il detto Capitano, ed Ufficiale ricusasse, o ritardasse, l’amministrazione della Giustizia nel modo sopraddetto contra detti debitori, sia nel Sindacato obbligato a risarcirlo, e pagarlo del suo, una con tutt’ i danni, spese, ed interessi all’Università”.

Si dirà: – Cose del passato -. Certo! Noi volevamo sapere come si operava in quei tempi. L’abbiamo rintracciato e siamo sicuri che la nostra curiosità sarà condivisa da alcuni, se non da tanti.

Giuseppe Abbruzzo

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