Don Camillo e Peppone nella versione acrese

Acri è stato, dal secondo dopoguerra alla fine del secolo scorso, una paese “rosso” nell’ambito di una regione a prevalenza “bianca”.  Il P.C.I. è stato, quasi ininterrottamente, per quasi mezzo secolo forza di governo  nella nostra città. Il “bianco fiore” non è riuscito (ad eccezione di due brevissime parentesi, nel 1980 e nel 1989) ad imporsi come forza di governo nel centro presilano. In un panorama fortemente di sinistra, erano inevitabili le contrapposizioni e le note di colore che finivano per caratterizzare alcuni aspetti della vita di ogni giorno. Se Giovannino Guareschi fosse vissuto ad Acri, siamo sicuri che avrebbe avuto altrettanto materiale per le sue opere di quello che ha trovato a Brescello, il centro della pianura padana emiliana, dove sono stati ambientati i suoi romanzi.

Dei tanti aneddoti tramandati, ne vogliamo fornire due ai nostri lettori, per meglio far capire dinamiche, modi di essere e note caratteriali del nostro popolo.

    Il primo si riferisce a una persona a noi molto cara, che all’epoca abitava in Via Vincenzo Sprovieri (‘A Sìdica, cosiddetta), quasi di fronte alla Chiesa di Santa Croce, sede un tempo dell’arcipretura. Il nostro amico era costretto a destarsi d’impeto tutte le mattine alle sei, forzatamente, sotto i rintocchi del campanile che chiamava i fedeli alla messa. Dopo i primi pacifici tentativi di indurre l’arciprete a rinunciare alle campane al mattino presto, il nostro fu costretto a ricorrere a metodi più persuasivi. Avendo comprato per corrispondenza uno dei primi stereo della “Selezione del Reader’s Digest” , decise di posizionare le casse dalla finestra, in modo da indirizzare la musica direttamente in Chiesa. Aspettò l’inizio della funzione e cominciò a fare andare lo stereo ad alto volume. Il motivo scelto? Ovviamente “Bandiera Rossa”. L’arciprete, imbarazzato e attonito di fronte allo stupore dei fedeli, distolti da quel motivo, mandò in missione il sagrestano, con la preghiera di far cessare la musica. La risposta fu rapidissima: “Io smetterò di suonare Bandiera Rossa, quando voi avrete smesso di suonare a manetta le campane al mattino presto”. L’arciprete accettò il compromesso e il quartiere ritrovò la pace.

   Il secondo episodio si riferisce ai primi anni ’70, in occasione della venuta  ad Acri di un alto esponente del M.S.I.  per un comizio. Venne allestito un palco nei pressi di P.zza Marconi con tanto di bandiera con la fiamma tricolore (il simbolo del M.S.I.). Immediatamente prima dell’inizio del comizio, quando già gli oratori erano sul palco, un gruppo di militanti del P.C.I. pensò bene di dare fuoco alla bandiera. Il tutto si risolse solo con un po’ di paura dei malcapitati che si trovavano sulla struttura, senza altre conseguenze, se non la denuncia per gli autori del misfatto, che vennero processati per “vilipendio alla bandiera italiana e interruzione di comizio”. Il processo, celebrato in Pretura, si trasformò in uno spettacolo umoristico per via della linea difensiva scelta dall’avvocato degli imputati, noto penalista e successivamente Senatore del P.C.I.. Nel momento in cui il Pretore chiese agli imputati il motivo del loro insano gesto, cioè come mai avessero incendiato la Bandiera nazionale, gli sessi si affrettarono a spiegare che non si era trattato della Bandiera italiana ma di uno strano stendardo con l’immagine di un carciofo (come si ricorderà, la somiglianza del simbolo del M.S.I. col carciofo era notevole). In mezzo alle risate del pubblico, il pretore abbozzò un mezzo sorriso, prese atto della motivazione originale e si apprestò ad assolvere gli imputati.       

    Tanti altri aneddoti meriterebbero di essere ricordati ma rischieremmo di tediare i lettori. Il nostro intento era quello di tramandare alcuni eventi che danno il senso di quegli anni.  La gente, pur all’interno di una forte contrapposizione,  aveva degli ideali ed era disposta a lottare per difenderli.

Massimo Conocchia  

  

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