E il popolo?… soffre, sospira e spera!!!

Sonvi paesi assai ricchi e popolosi (…) senza il più magro ospitale, ove ricoverare gl’infermi poveri. Altri ne hanno, ma si riducono a luride e umide stanze con pochi pagliaricci e una coperta di lana in cui si porgono rimedii o guasti o di poco prezzo, e poche paste per alimento”.

Questo scriveva Cesare Lombroso, medico, che operò tre mesi nella Calabria regina, nel 1863.

Era una vergogna, secondo lui, da addebitare ai Borbone. Lui, convinto, che tutto sarebbe cambiato, non venne fin quaggiù, non fosse altro, per vedere quanto non avessero operato i Savoia, che promettevano libertà e ogni ben di Dio al Sud, mentre ancora oggi dobbiamo constatare che poco è cambiato. Tante carenze di allora le viviamo, purtroppo, ancora oggi, sotto vari aspetti.

Gli eletti dal popolo calabrese nelle varie epoche fino ai tempi nostri cosa hanno fatto per mutare le condizioni di arretratezza denunciate da più parti? A ognuno la risposta.

La cosa curiosa è che un vescovo illuminato, Bonaventura Sculco, nel 1759, istituiva un ospedale in Acri. Quell’ospedale, ad un certo punto, chiuse. I vescovi, che gli erano succeduti non ritennero valide le argomentazioni del benemerito Sculco? Crediamo proprio di sì. L’ospedale, però, esisteva sulla carta, anche dopo l’Unità d’Italia. I beni erano amministrati dal Comune. Annualmente presentava lo Stato discusso, ossia il bilancio. Si limitava, però, a somministrare medicine ai poveri e qualche soccorso assistenziale, con fondi derivanti da lasciti. Poi sparirono anche quelli.

Il Beato Francesco Maria Greco istituì l’Ospedale Charitas, al quale subentrò l’Ospedale Beato Angelo, che è ormai ridotto a garantire prevalentemente prestazioni di pronto soccorso, emergenziali. Di chi le colpe? Chi ha vanificato il lavorio lungo, tenace di alcuni amministratori locali? Nessuno lo sa o si finge di non saperlo.

Noi abbiamo scritto e riscritto sul declino, lento, inesorabile, del nuovo ospedale su giornali vari. Non ultimo sul famigerato “Confronto”. Quel periodico, però, aveva il difetto di denunciare quanto non andava sia che provenisse da destra o da sinistra e, non avendo la vocazione dell’incensiere, poco piaceva “al guidatore di turno”. La sua chiusura, infatti, fu vista come liberazione da quanti per il popolare articolo quinto avevano in mano il comando amministrativo o culturale.

Su quel periodico scrivemmo sull’operato del Commissario alla sanità calato in Calabria per risanare il dissesto. Sostenevamo che quel dissesto si era aggravato e che, quindi, bisognava chiedere ragione dell’operato, prendere atto del fallimento e operare di conseguenza.

“Confronto” era recensito, per chi non lo sapesse, da l’Eco della Stampa e, perciò, i “ritagli” finivano in tutti gli uffici stampa del territorio italiano, per le rispettive competenze.

Quali “onorevoli” regionali e nazionali si preoccuparono di far proprie quelle argomentazioni?

Nessuno. Ora si scopre quanto segnalavamo e, da destra e da manca, si cerca di rimpallare colpe. In parole povere: si fa ‘a mmuina, come al solito, tanto il popolo ingoia tutto.

La Calabria elegge suoi rappresentanti e a loro è giusto chiedere conto. A qualunque schieramento appartengano. Loro sono delegati, per mezzo del voto, a fare gli interessi del popolo, che viene ripetutamente, in modo ossessivo, citato durante le campagne elettorali, per poi dimenticarsene.

La passionalità è figlia dell’essere stata la mia la evangelica vox clamante in deserto.

A questo punto, purtroppo, c’è andata di mezzo e vi va di mezzo la vita di tante persone.

Noi uomini liberi, non servi di nessuno, come abbiamo dimostrato ampiamente, piangiamo le colpe d’altri. Più d’un calabrese dovrà ancora recitare il nostro: Misericordia, lu munn’è perdutu: chi troppu si fidò restò ‘ngannatu! (Misericordia, il mondo va a rotoli: chi troppo si fidò restò ingannato!).

Constatiamo, ancora una volta, quanto sia vero quel canto dei giusti che, nel 1848, rivendicavano le terre usurpate e finirono in galera per avere il torto d’avere ragione:

Vidi a chi munnu chi sum’arrivati:

ch’ ‘u latru è boia e l’arrobbat’ è ‘mpisu!

Il popolo, ancora una volta, paga le colpe di quelli che oggi, da destra e da sinistra, se le rimpallano.

Concludiamo proponendo un’altra eloquente sottolineatura popolare a questo gran vociare, tendente a riversare le colpe su questo o quello, ma la colpa è di tutti quelli che hanno promesso di difendere il popolo, a qualsiasi schieramento appartengano: Trovati fissa è cridici! -.

Questo gioco dura da troppo tempo. Ognuno ne prenda atto.

Giuseppe Abbruzzo

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