Ricordando Pierino Sammarro

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  Era il 1956 quando a Casalicchio, in un freddo stanzone del vecchio palazzo Azzinnari, insieme a Pierino e ad altri compagni frequentavamo la prima Media. In quell’anno c’era stato un sensibile aumento di iscrizioni e le aule del vecchio stabile, sempre a Casalicchio, dove da sempre eraubicata la scuola, non riuscivano più a contenere tutte le classi. Il Comune così aveva preso in fitto quello stanzone dove facevamo scuola, ricordo, intirizziti dal freddo. Alla prof.ssa di lettere Femìa, proveniente dalla Piana di Gioia Tauro, avevano dato un braciere con ‘quattro carboni’ accesi, e lei, generosamente, non sentendosela di ‘godere’ di quel poco, insignificante calore sotto la cattedra, lo metteva a disposi-zione di tutti collocandolo in mezzo alla classe!

Ebbene, io e Pierino, che eravamo i più grandi dell’intera classe, gli ‘anziani’, perché viaggiavamo con quattro o cinque anni di ritardo, dopo qualche mese di frequenza, di fronte alla neve e al ghiaccio di un rigidissimo mese di gennaio, una mattina convincemmo tutta la classe a non entrare, facemmo sciopero per chiedere un po’ di calore, fra l’altro io soffrivo di fastidiosissimi geloni, e non ero il solo. Quel freddo cane era insopportabile, anche perchéeravamo costretti a stare fermi tra i banchi per mezza giornata a sentire la prof.ssa che declinava ‘rosa, rosae’, o il prof. di matematica che alla lavagna nera di ardesia scriveva col gesso esercizi di aritmetica; in quei momenti Pierino, mio compagno di banco, si dilettava a disegnare con la matitail quadrifoglio e altre figure con una bravura innata, che io gli invidiavo.

Sì, Pierino già allora era un artista non solo nel disegno, come ha poi da adulto dimostrato suonando da autodidatta il pianoforte e altri strumenti, eseguendo sculture di pregio, o facendo l’ebanista provetto in Francia, dove finì per emigrare e mettere radici pro-fonde, anche se alla fine il suo carattere inquieto, sensibilissimo e sempre alla ricerca di se stesso, aveva finito per farlo rientrare nuovamente nei luoghi natii. Con lui, di tanto in tanto, mi sono sempre rivisto con grande, reciproco piacere. 

Ci abbracciavamo ogni volta, scambiandoci sguardi carichi di signi-ficati profondi: di Pierino mi piacevano assai quei sorrisi penetranti e quella voce baritonale, che faceva eco nel profondo dell’anima, specie quando si accompagnava a sottili ironie di cui era maestro.

Ora che il mio caro compagno Pierino non c’è più, mi sento più solo, più esposto alle intemperie della vita; mi manca quelportamento distinto, quel modo serio e nello stesso tempo scan-zonato di porsi di fronte alla vita, segno di grande equilibrio.

Addio, mio caro compagno e amico!

Vincenzo Rizzuto

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