Un giorno di ordinaria follia

Era una mattina come tutte le altre, iniziata con i soliti monotoni
riti, con “l’acqua fredda in faccia – che – cancella già i tuoi sogni
e col bisogno annega la speranza “
(Guccini). Colazione, barba e pronti a iniziare la giornata. In
macchina, da un po’ fantasticava sul futuro più o meno prossimo,
facendo progetti su come impostare la sua vita, dandole una svolta,
dedicandosi maggiormente a se stesso, trovando il coraggio di rompere
con la routine e gestire direttamente e senza vincoli le proprie
giornate. Era da circa un anno che rifletteva su questa possibilità.
In questi pensieri, i sogni (la possibilità di vivere maggiormente il
tempo libero, trasferirsi in un isola nel mediterraneo e alle Canarie,
passare più tempo con i propri affetti) si
affastellavano e alternavano ritmicamente con un freddo raziocinio,
che si materializzava fino all’aritmetica, cercando di capire di
quanti soldi avesse bisogno per potere dare un calcio a tutto il
resto. La voglia di evadere da una vita che lascia poco spazio alla
persona, alle proprie passioni, si doveva scontrare – e conciliare –
con i conti, in modo da doversi mai pentire di quella che si profilava
come una scelta irrevocabile. Al primo semaforo la macchia dietro,
timidamente, con un colpo di clacson, lo invitava a proseguire, c’era
il verde. Mentre era assorto nei pensieri più dolci, dopo avere in
qualche modo fatto pace con la partita doppia, si trovava all’ingresso
della tangenziale. Ora di punta, traffico intenso. La corsia normale e
quella di sorpasso erano entrambe occupate da due veicoli, per cui non
potè fare altro che rallentare e attendere che si liberasse la corsia
per immettersi. Il veicolo dietro di lui, che doveva come lui entrare,
non ebbe voglia di attendere il proprio turno e, nell’atto in cui lui
stava per immettersi, lo sorpassò e gli invase la corsia. Si trattava
di uno di quei tipi per i quali il mondo deve essere ai loro piedi e
niente e nessuno può mai frapporsi sulla propria strada. Ebbe appena
il tempo di frenare adagiandosi sul bordo della carreggiata, mentre
l’altro veicolo, probabilmente, non si accorse nemmeno di ciò che
aveva provocato; aveva, tra l’altro il telefonino all’orecchio. Quella
brusca frenata e l’adagiarsi sul bordo, mentre gli altri veicoli gli
sfrecciavano a lato, lo scosse al punto che tutti i suoi calcoli
persero immediatamente il loro valore. Che senso aveva progettare il
futuro quando un cretino qualsiasi può svegliarsi al mattino e, nostro
malgrado, interrompere ogni sogno, ogni aspettativa. Era cosciente
che si trattava di considerazioni ovvie, sulle quali, tuttavia, non
sempre ci si sofferma adeguatamente. Considerare quanto fugace e
precario sia il nostro percorso esistenziale, a quanti e quali
pericoli quotidiani siamo esposti, ci permetterebbe, forse, di
concentrarci maggiormente sul presente, rendendo unico ogni momento,
cercando di godere di quanto si dispone, senza proiettarci sempre in
una dimensione temporale diversa da quella che viviamo e che, di
fatto, ci impedisce di vivere pienamente ogni cosa. La considerazione
che i suoi progetti erano così esposti a ogni intemperie contingente
lo indusse ad astenersi da qualsiasi calcolo futuro, che, per via del nostro
stare “come d’autunno sugli alberi le foglie”, si ridurrebbe a un puro
esercizio psicologico per esorcizzare le noie del presente ma, al
tempo stesso, ci proietterebbe in una dimensione atemporale, che ci
sottrarrebbe dal presente privandoci, anche, di tutto il buono, che,
spesso, diamo per scontato. Da quel giorno smise di fare calcoli e
progetti, lasciandosi trasportare dalla vita che, in ogni caso, decide
se e quando permetterci di andare a capo.

Massimo Conocchia

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