Violenza sulle donne: un problema culturale

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Le cronache sono sempre più tristemente intrise di episodi pressoché  quotidiani di violenza sulle donne, a volte portata fino alle estreme conseguenze con femminicidi che appaiono tanto più insensati in quanto si consumano, il più delle volte, tra le mura domestiche ad opera di compagni o mariti che si rifiutano di accettare un distacco. Il tutto parte da una concezione della donna come possesso e, in quanto tale, non si è disposti a rinunciarvi, anche a costo di sacrificare la vita stessa della persona amata e, in non poche occasioni, quella di chi commette l’omicidio. Nella nostra tradizione popolare ci sono ampie testimonianze di questa concezione, riportiamo una composizione arcinota, da cui traspare quanto abbiamo prima accennato. “ Chi perda amici, chi perda parienti, ‘u chiuovu cchiù brutti è chini perda l’amanti; chi li erda muortu nunn’è nenti, s’asciutta ‘l’uocchi e lli passa lu chianti, chi lu perda vivu è fuocu ardenti quannu su vida passàri davanti ” . Dunque, meglio morto che saperlo in mano altrui.

Una cultura maschilista e dominatrice, imperante fino al secolo scorso, ha dato spesso linfa ad alcuni atteggiamenti e riteniamo che ancora oggi alcuni retaggi siano duri a morire e siano alla base di alcuni  drammatici eventi. D’altra parte, quanto una certa dimensione culturale incida nel modo di essere e di vivere delle donne è ben evidente osservando la condizione della donna nel mondo arabo. Siamo consapevoli che nel mondo occidentale le cose stiano diversamente e, tuttavia, un certo modello culturale resiste  tuttora in Italia ed è figlio diretto di un modo di pensare che, fino circa sessant’anni fa, trovava una sponda anche sul piano legislativo. Basti pensare allo “ius corrigendi”, in vigore fino al 1956, in base al quale il marito era autorizzato a usare la forza qualora la moglie, a suo personalissimo giudizio, avesse sbagliato. Il delitto d’onore, altro retaggio del codice Rocco, in base al quale veniva fortemente depenalizzato l’uxoricidio se commesso in conseguenza dell’avere colto in flagranza di adulterio la moglie. Una cultura figlia diretta di una concezione patriarcale e maschilista della società, filtrata e fortificata nel ventennio in base al quale l’uomo era di fatto padrone assoluto del destino della donna, fosse essa figlia o moglie. Tanta acqua è dovuta scorrere sotto i ponti prima di arrivare (1996) a considerare la violenza sessuale come delitto contro la persona, fino ad allora era contro la morale. La legge sulle lavoratrici madri dei primi anni ’70;  la equiparazione delle retribuzioni; il nuovo diritto di famiglia; il divorzio; l’aborto sono state alcune delle pietre miliari che hanno reso meno irto il cammino delle donne per una reale e non completamente realizzata parità di genere. Storicamente, bisogna riconoscere che anche la formazione religiosa è stata per lungo tempo piegata ai bisogni di una società maschilista, nella quale l’uomo era considerato come il capo e il “padrone”. Riportiamo, in fondo all’articolo alcuni precetti cattolici relativamente ai  “doveri delle spose” che costituivano il corpo del “Manifesto dei doveri delle spose” del 1895.

Al di là dei supporti legislativi, c’è bisogno di una rivoluzione culturale che parta dal riconoscere alle donne il diritto di scegliere del proprio destino senza  dovere subire persecuzioni, minacce e, non infrequentemente, rischiare la vita per le proprie scelte, sacrosante. Il tutto deve necessariamente mettere insieme la scuola e la famiglia, entrambe coinvolte in un processo formativo che  porti alla nascita di uomini nuovi, partendo dal riconoscimento di diritti inviolabili, tra questi la vita e la dignità della persona. Contestualmente, la certezza degli strumenti repressivi e di prevenzione, vero tallone d’Achille. La donna che si separa e diventa oggetto di persecuzione dell’ex deve essere protetta e chi minaccia deve essere messo nelle condizioni di non nuocere. Ad oggi, troppo spesso sentiamo di donne che più volte hanno denunciato senza esito. Diventare uomini è un processo dinamico e non statico: si è veramente uomini quando non si esercita la propria forza su chi è fisicamente o psicologicamente più debole, quando si ha la forza di riconoscere all’altro che si è amato il diritto di cambiare strada se non condivide più il percorso. Una strada lunga e per nulla facile ma non esiste un percorso alternativo o più breve. Parallelamente all’uomo che, di colpo, si trova spiazzato e senza il punto di rifermento bisogna che sia garantito realmente il diritto a stare il più possibile con i figli, in modo che si mantenga e perduri un legame essenziale e vitale, senza dare l’impressione a chi viene lascato di avere perso veramente tutto. 

Massimo Conocchia

(Da “Il manifesto dei doveri delle spose” del 1895)

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