Dalla leggenda alla storia

Bata - Via Roma - Acri

La leggenda, come è noto, è pura invenzione, ma, a ben vedere, contiene, in alcuni casi, una verità storica, alla quale si rifà. Un esempio si ha nel nostro centro urbano, nel rione Castello.

Sappiamo che Acri subì la dominazione saracena. Lo ricorda la distruzione dell’abbazia basiliana di S. Angelo, che sorgeva nell’omonima contrada, posta sul lato sinistro di chi percorre la strada, che conduce da Acri a S. Demetrio Corone.

Su tale distruzione si fonda il poemetto del poeta acritano Filippo Greco, La storia di Nilo.

Sappiamo che scorrerie di quelle popolazioni si ebbero nel 1020, 1080, 1129 e 1180.

Quando i Saraceni furono ad Acri e fino a quando vi rimasero è difficile dirlo.

Una leggenda, però, oltre a quella riportata, ne fa menzione. Si è nobilitata con la denominazione di Pietra del Saracino.

Sulla parete sinistra, rispetto a chi guarda la porta d’ingresso della chiesa di S. Nicola di Sales, nel rione Castello, dove una pietra fa vedere un buco, come un colpo di pugnale e tutt’attorno arrossata.

Si narra che un Saraceno, passando a cavallo, vicino al luogo sacro, per sfregio abbia inflitto il colpo del suo pugnale su quella pietra. Ne sprizzò sangue.

Di fronte a quel prodigio il Saraceno si convertì alla religione cristiana.

Chi vi passa oggi vede la distanza che dal suolo è irraggiungibile, per un uomo a cavallo, per poderoso che fosse il cavaliere. Va detto, però, che il terrapieno, che consentiva di raggiungere il punto del bersaglio, fu abbassato negli anni ’50 del secolo scorso, per spianare la via.

Quanto interessa del racconto, però, è che la leggenda contiene una verità storica, che non è supportata da documenti, almeno per ora. Il popolo, però, come usava fare, non essendo alfabetizzato, tramandava fatti, avvenimenti e storie varie traponendoli in versi e prose

Ribadiamo, ancora una volta, se ve ne fosse bisogno, che quando da pseudo-intellettuali si dice che ad Acri non vi è nulla di storico da vedere si fa una dichiarazione che contiene una scarsa, se non nulla conoscenza della storia del paese di origine.

Il guaio più grosso è che non si ricerca, non si indaga e si “scopre” solo quanto è frutto del lavoro di altri e lo si presenta come proprio.

Si citano autori, non per averli ricercati e studiati, ma perché si vuole fare sfoggio di sapere, senza controllare se quanto è stato ipotizzato o scritto sia esatto e valido storicamente.

Ai giovani, vogliosi di conoscere e sapere del “nido” dove sono nati, perciò si raccomanda, è bene ripeterlo fino alla noia, di non fare il copia-incolla, che è scorretto e poco proficuo, ma di essere curiosi e cercare negli archivi, sui libri, sui giornali e dare alla luce qualcosa di nuovo. Friggere, come suol dirsi la stessa aria non giova a nessuno, tanto meno a se stessi.

Ben vengano, perciò, le leggende, se ve ne sono, ma in esse va ricercata la sia pur minima verità storica, come nel caso riportato.

Giuseppe Abbruzzo

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