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In un mondo sempre più connesso, cresce tra i più giovani il desiderio, il bisogno, di disconnettersi. Sempre più giovani cercano spazi di socializzazione privi di schermi, di telefoni, di notifiche, dove poter parlare, leggere e giocare senza l’interferenza della rete. In diverse parti del mondo nascono gli Offline Club, luoghi in cui la tecnologia è bandita per favorire un ritorno a forme di relazione faccia a faccia. L’iniziativa, partita nei Paesi Bassi, si è rapidamente diffusa in città come Amsterdam, Berlino, Londra, Parigi, Milano, Barcellona, Dubai e altri posti.

Gli eventi si svolgono in bar e caffè dove smartphone e dispositivi digitali sono letteralmente vietati. Al loro posto ci sono attività come giochi da tavolo, lettura e pratica di conversazione dal vivo. Chiunque può avviare in questi club: basta registrare legalmente l’attività e seguire le attività offerte dall’organizzazione. Secondo una ricerca del British Standards Institution, emerge, in controtendenza ai luoghi comuni, che quasi la metà dei ragazzi britannici tra i 16 e i 21 anni preferirebbe vivere in un’epoca pre-digitale. Il 68% dichiara addirittura di sentirsi peggio dopo aver trascorso del tempo sui social media, e il 50% è favorevole all’introduzione di una sorta di ritiro dal digitale dopo le 22. Sembra crescere la consapevolezza che l’abuso degli smartphone abbia conseguenze serie sulla salute mentale: ansia, stress, insonnia, difficoltà scolastiche e relazionali. Durante la pandemia e dopo l’iperconnessione è diventata una prassi.

Il lockdown aveva confinato la vita tra le mura domestiche, costringendo i giovani a spostare quasi tutto della loro vita online. Secondo l’Atlante dell’Infanzia a Rischio di Save the Children (2023), in Italia il 78,3% degli 11-13enni usa internet quotidianamente, soprattutto via smartphone. Secondo questa indagine l’età media di accesso si sarebbe ulteriormente abbassata: dopo la pandemia, l’uso quotidiano di dispositivi tra i 6 e i 10 anni è passato dal 18,4% al 30,2%. Ma pare che anche qualche istituzione inizi a intervenire. L’Unione Europea sta valutando una normativa per consentire l’accesso ai social ai minori solo con il consenso genitoriale. La Francia, cosa incredibile da pensare in Italia, raccomanda di vietare l’uso dei social fino ai 18 anni e degli smartphone fino ai 13.

Il Regno Unito, già nel 2021, aveva proposto il divieto di smartphone a scuola, anche durante la ricreazione. Secondo l’OMS e una ricerca pubblicata su The Lancet Child & Adolescent Health, l’eccesso di tempo davanti agli schermi, associato a scarsa attività fisica, incide negativamente sul benessere mentale degli adolescenti. Anche se paradossalmente gli stessi Offline Club usano i social per promuoversi (l’account Instagram ufficiale centinaia di migliaia di follower), il messaggio è chiaro: è possibile convivere con la tecnologia senza esserne dominati. Di converso, e per contrasto va invece sottolineata l’importanza di colmare il digital divide di genere. Secondo l’UNICEF, nei Paesi a basso reddito il 90% delle ragazze adolescenti non usa Internet, mentre i coetanei maschi hanno il doppio delle probabilità di essere online.

Le barriere non sono solo tecniche, ma culturali e sociali: stereotipi, insicurezza, mancanza di opportunità. L’accesso equo e sicuro alla tecnologia per le ragazze è fondamentale per garantire un futuro inclusivo. Insomma, le contraddizioni sono tante: decidere di stare offline ogni tanto può essere una scelta sana in società opulente e ricche come le nostre, dove una dose di disciplina nell’uso delle tecnologie può creare consapevolezza e uscita dalla dipendenza, ma, d’altra parte, la mancanza di accesso alla rete in società povere è motivo di esclusione dalla vita e dalla libertà, soprattutto per le ragazze. Restiamo nella lotta tra dipendenza e libertà, sempre però dalla parte della seconda.

Assunta Viteritti

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