Storie d’altri tempi: la coerenza e il coraggio in contesti non facili

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Abitava esattamente dietro al Municipio, in una casa composta da un’unica stanza, senza servizi. Per i bisogni c’era un piccolo disimpegno ricavato su un ballatoio appena fuori la porta che, d’inverno, rendeva l’espletamento degli stessi estremamente difficile. Il gelo impediva praticamente il rilascio sfinterico. I sei figli erano stipati in tre brande, due per ciascuna. Lo stipendio magro bastava a malapena per i bisogni primari.

Agli esordi degli anni Sessanta, con il piano casa di Fanfani, si prospettava la possibilità di lasciare un ambiente malsano per una casa degna di questo nome. L’avvio, oltretutto, dell’edilizia popolare si traduceva in possibilità di lavoro per i due figli più grandi. In tutta questa situazione di bisogno, ci fu chi pensò di inserirsi, sfruttando lo stato di necessità per una forma di ricatto: la casa e il lavoro per i figli in cambio di voti e tessere per la “croce” come veniva chiamato.

Quel partito non era mai stato particolarmente forte in quella realtà, per cui, specie in determinati appuntamenti elettorali, la competizione era particolarmente agguerrita. Una sera, in cantina, dopo il consueto e liberatorio appuntamento con Bacco, si aprì con nostro padre, confidandogli la proposta capestro che gli era stata fatta e quanto questa contrastasse con la sua fede “comunista”.

Mentre nostro padre lo incitava a resistere alle tentazioni e a non vendersi, c’era chi – non senza qualche ragione – lo incalzava: “che ti ha dato la falce e martello? Solo fame e disperazione. E tu ancora dietro questi comunisti della m….a. Sei proprio una testa di c…o”.

Il dilemma non era semplice e lui non aveva alcuna intenzione di scioglierlo, per lo meno non immediatamente. Prese tempo, lasciando intendere di essere disponibile. Arrivò il giorno del voto – in precedenza era stato in prima linea nei comizi con tutta la famiglia- e lui presente che qualcuno lo accompagnasse in auto al seggio con la moglie i due figli maggiorenni e i suoceri.

La macchina non era in grado di contenerli tutti ma stringendosi riuscirono a entrarvi. Pretese che la macchina si fermasse davanti alla cantina e che l’autista scendesse per pagargli una “lampa” di vino. Gli serviva, forse, per prendere coraggio.

Arrivati davanti al seggio, con un rituale ben studiato, lui prese la moglie a braccetto, il resto del corteo al seguito. Votarono e all’uscita, di fonte al piazzale delle “Monachelle”, disse rivolto all’allora segretario della “Croce”: “io ci ho provato, veramente, con tutto me stesso ma giunto la dentro, appena vista la falce e martello, la mano è andata da sola su quel simbolo che non potevo tradire. E così hanno fatto anche i miei”. Riprese il resto della famiglia e si riavviarono verso casa, stavolta a piedi.

Restò in quel tugurio per altri 4 anni, fino a quando la casa gli toccò di diritto. I figli emigrarono e non fecero più ritorno.

L’episodio, però, è emblematico e rappresenta un chiaroscuro di un certo tempo, dove le dinamiche erano più nette, la gente vedeva con più facilità il bianco e il nero. Il grigio era un colore meno amato rispetto a oggi e il coraggio delle proprie idee e la schiena dritta erano tratti distintivi molto più diffusi rispetto a oggi.

Le ideologie, soprattutto alcune, sono ormai affidate al giudizio della Storia e non è nostra intenzione lanciarci un un “amarcord” stucchevole e fuori luogo. Di una cosa, però, abbiamo nostalgia, di come un tempo, malgrado le difficoltà, si riuscisse a ritrovare dignità anche nelle avversità e si fosse meno disposti a barattare la propria libertà per un tozzo di pane.

Qualcuno storcerà il naso ma ad oggi non credo che personaggi di quella fatta risultino tanto di moda. Basta dare uno sguardo alle dinamiche politiche locali e non per riconoscere una “fluidità”, segno probabilmente dei tempi e alla quale, confessiamo, facciamo molta fatica ad adattarci.

Massimo Conocchia

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