Neet
In Italia, tra disinvestimento educativo e mancanza di opportunità, i giovani continuano a pagare il prezzo di un sistema che li esclude. Cambiare rotta è ancora possibile? In Italia, oltre 1,4 milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni non studiano, non lavorano e non seguono percorsi formativi. Sono i cosiddetti NEET – Not in Education, Employment or Training – e rappresentano una delle criticità sociali più profonde del nostro Paese. Secondo un recente rapporto dello studio Ambrosetti, siamo il secondo Paese peggiore in Europa per incidenza di NEET.
Un dato che non solo fotografa una condizione di blocco per moltissimi giovani, ma rivela anche il fallimento strutturale del sistema Italia nell’investire sul futuro.Il fenomeno, sebbene leggermente in calo nell’ultimo decennio, resta allarmante. Dietro questi numeri non ci sono solo giovani pigri o disinteressati, ma una generazione ferma, spesso invisibile nei conti ufficiali.
L’indagine rivela che due terzi dei NEET desidererebbero lavorare e che molti svolgono lavori irregolari, precari o in nero, privi di diritti e di prospettive. Solo un terzo è effettivamente inattivo. Questa situazione ha un costo altissimo: 24,5 miliardi di euro all’anno, una cifra pari a quella di una manovra finanziaria.
Ma al di là delle cifre, c’è una perdita ancora più grave: la svalutazione del sapere, la dispersione del talento, il senso di abbandono che alimenta sfiducia nelle istituzioni, nelle scuole e nel lavoro. Sempre nello stesso studio si mettono a fuoco le lacune del sistema educativo italiano. In Italia l’istruzione riceve solo il 7,3% della spesa pubblica complessiva, contro il 9,6% della media UE.
Nessun altro Paese dei 27 membri investe così poco in proporzione: siamo superati non solo da Francia, Germania e Spagna, ma anche da Stati entrati di recente come Lituania, Lettonia ed Estonia. Un dato che si riflette nei tassi di laurea più bassi d’Europa, nella scarsa internazionalizzazione degli atenei e in una cronica disattenzione alla formazione degli adulti.
Il report identifica otto leve strategiche per ridisegnare un sistema educativo più equo ed efficace: estensione dell’obbligo scolastico fino ai 18 anni; unificazione dei cicli delle scuole secondarie; valorizzazione della figura docente, anche dal punto di vista economico; introduzione di modelli didattici innovativi;sistemi di valutazione indipendenti per scuole e insegnanti.
Secondo le simulazioni, l’adozione di queste misure potrebbe ridurre significativamente il numero dei NEET, un impatto che sarebbe anche culturale e sociale: un Paese che investe nei suoi giovani è un Paese che ritrova fiducia nel futuro.
Uno studio internazionale, “Education at a Glance” dell’OCSE, conferma la tendenza comune nei Paesi occidentali: la quota di giovani adulti (25-34 anni) senza diploma di scuola superiore sta calando ovunque, anche in Italia dove si è passati dal 24% del 2019 al 19% nel 2024. Un segnale positivo, ma non ancora sufficiente. Anche i dati sull’occupazione e sul livello di istruzione parlano chiaro: il 14,8% dei giovani adulti italiani senza diploma non lavora né studia, contro l’8,9% di chi ha almeno un diploma e il 6,5% dei laureati.
Inoltre, solo il 17% dei giovani italiani possiede una laurea magistrale o equivalente, a fronte del 16% della media OCSE. Un lieve miglioramento rispetto al 2019, ma ancora troppo timido. L’Italia non può più permettersi di perdere intere generazioni, né dal punto di vista umano né da quello economico. m
L’alta incidenza di NEET è il sintomo di una crisi educativa e sociale che ci riguarda tutti. Serve una visione a lungo termine, capace di mettere al centro l’istruzione, la formazione continua, l’inclusione sociale, la dignità del lavoro. Le soluzioni ci sarebbero ma occorrerebbe coraggio politico e culturale. Dietro ogni numero c’è una persona, un talento, una possibilità è su quelle possibilità che si gioca il futuro dell’Italia.
Assunta Viteritti


















