Facciamoli tornare nei nostri luoghi d’origine!

Bata - Via Roma - Acri

Sono 180.000!  Ovvero nove volte la popolazione della città di Acri, un esercito silenzioso, fatto di giovani, con la laurea in tasca, a volte un dottorato, sotto i 35 anni, con tante aspirazioni e sogni nel cassetto. E’ questo il dato angosciante dello SVIMEZ che fotografa la nuova recente ondata di emigrazione -dal 2017- di menti, braccia, energie, dal Sud verso altre destinazioni, alla ricerca di migliori certezze per il loro presente e futuro, di una prima occupazione, che il Sud -incivile la politica che non ha saputo fermare questa emorragia- non riesce loro a dare.

Sono fuggiti perché stanchi di promesse, di vivere alle spalle dei genitori, desiderosi di affermarsi e dimostrare il loro valore e talento anche in confronto a tanti altri coetanei di realtà più fortunate e avanzate, e non solo in Italia emigrano, ma molte volte all’estero. Nella gran parte dei casi non tornano, e se lo fanno è solo per motivi affettivi, per esigenze familiari impellenti, ma giammai, se non i pochi casi, per portare a casa loro il bagaglio di esperienze fatto altrove, che potrebbe servire ad una migliore emancipazione della terra di origine.

Alla radice ci sono motivi strutturali della società del sud, io li esprimo con il termine “creatività” di una classe politica totalmente incapace da anni a questa parte di “inventare” straordinarie occasioni per trattenere questi ragazzi, in gergo economico si tratta di una insufficiente dotazione di capitale produttivo che determina una forte carenza dell’offerta e della domanda di lavoro.

Dall’analisi SVIMEZ, emerge inoltre il dato che ad andarsene dal Sud sono proprio quelli più culturalmente dotati, istruiti, un vuoto che non viene colmato in nessun modo, nemmeno dalle ondate migratori; giocano a sfavore tanti fattori e luoghi comuni che lo stesso Sud ha alimentato, come il non riconoscere la professionalità, accontentarsi, offrire lavoro al ribasso, in nero, non soddisfare nel giovane quel desiderio di riconoscimento di valore umano e professionale, anzi, umiliarlo.

Così si sfaldano vite, famiglie, comunità, storie personali e collettive, si portano via saperi, si impoverisce una storia millenaria di relazioni e passaggi culturali e anche di innovazione che spesso passa per una semplice intuizione, che tuttavia anche se nasce più a Sud, da una inventività innata, si sviluppa altrove, consolidando il triste primato della Calabria che dopo 5 anni dalla laurea non riesce a collocare nel mercato i suoi giovani.

Si tratta di costi e danni sociali enormi, declino intellettuale, produttivo, economico che la crisi ha violentemente incrementato e che sembra inarrestabile al momento, che fa rabbia perché governi locali e regionali, oltre qualche banale incentivo a restare, che sono però così difficili da ottenere perché devi superare una folle, incivile selva burocratica e dopo aver lottato molli tutto, non sono bastati ad arrestare i flussi, anzi li hanno aumentati. E anche se tutti si lamentano, dalle famiglie, agli imprenditori, ai politici, nessuno poi si pone in forma seria, approfondita il dubbio che sia veramente il momento di invertire la tendenza: facciamoli tornare, facciamoli tornare, e ancora cento mille volte questo mantra, dovrebbe essere l’ossessione diurna e notturna di tutti, e non servirebbe nessuna bacchetta magica, ma basterebbero poche semplici idee, alcune poche cose, a partire dal costringere tutti, pubblico e privato, a mettere per esempio in gioco 200.000 nuovi posti di lavoro solo per giovani -non raccomandati- che rientrano da altrove al Sud. Non è così banale, non è nemmeno così difficile, ma ci vuole tanta creatività, volontà, inventiva, determinazione, proprio quella che però molti giovani si sono portati via.

Facciamoli tornare nei nostri luoghi di origine, sarà la più bella vittoria di questi anni difficili!

Pino Scaglione

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