Il placebo e il potere della suggestione

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Placebo, letteralmente, è un termine latino, precisamente corrisponde alla prima persona singolare del futuro semplice di “placère” (piacere).

Il significato letterale sarebbe, dunque, “io piacerò” e deriva da un’errata traduzione del libro dei Salmi. San Girolamo scrisse  “Placebo Domino in regione vivorum” – ossia “Piacerò a Dio nella regione dei viventi” – anziché “Camminerò alla presenza del Signore sulla terra dei viventi” – versione corretta presente nella Bibbia attuale. Questa parte, errata, della Bibbia, veniva recitata in Inghilterra nel Medioevo da parte di coloro che venivano pagati per piangere ai funerali (fonte: Wikipedia). Il termine è divenuto, quindi, sinonimo di falsificazione o comunque qualcosa di non veritiero. In medicina il placebo è il nome dato a sostanze farmacologicamente inerti, ossia
prive di principio attivo e, non infrequentemente usate per confrontare l’efficacia di alcune molecole. La storia della medicina è costellata di episodi legati al placebo,
ossia all’uso di sostanze, nella migliore delle ipotesi, inutili, che, a volta sortivano l’effetto di lenire alcuni mali, in forza di un effetto psicologico. Potremmo citare i salassi, le sanguisughe, pratiche in uso fino a buona parte dell’Ottocento in Europa.
Non sempre, però, il termine placebo va preso in un’accezione negativa. A volte placebo può essere anche una parola o un atteggiamento da parte di chi cura, che, in molti casi, hanno una “efficacia” nel percorso di cura di alcune malattie . L’uso della
parola, sempre più parsimonioso in un mondo che corre e non si ferma, può divenire utile sostegno alle cure mediche e chirurgiche. Placebo, in sintesi, in
un’accezione più estensiva del termine, può essere qualsiasi strumento non farmacologico atto a “prendersi cura” del paziente e, in questo
ambito, può risultare di qualche utilità. Il processo di cura spesso può risultare
laborioso e non sempre efficace se manca di alcuni presupposti. Fra questi, sicuramente la fiducia del paziente verso colui a cui affida la propria salute. Non può esservi fiducia senza un rapporto umano, che, partendo dalle parole, arrivi, poi, ai rimedi realmente efficaci, ossia i farmaci e in generale le cure, quelle vere, le uniche in grado di guarire. Tuttavia, in certe determinate circostanze, il placebo,
storicamente, ha trovato una sua cogenza. Da studente, ricordiamo un aneddoto raccontato da quello che è stato un vero Maestro di arte medica e sui cui testi si sono formati generazioni di medici. Le sue lezioni erano frequentatissime: in una di queste ci raccontò di un episodio occorsogli nei primi anni ’50 del secolo scorso. Venne chiamato per valutare un paziente con una emiorticaria, ossia un’eruzione allergica
pruriginosa, che interessava, singolarmente, un intero emisoma (metà corpo). Accorso nel cuore della notte e sprovvisto di cortisonici e antistaminici (eravamo poco dopo il secondo dopoguerra), diede al paziente un sorso di liquore fatto
artigianalmente con alcool non denaturato e mentolo, presentandolo come un rimedio efficace. Dopo circa mezz’ora dall’assunzione, l’orticaria era oggettivamente scomparsa.
Suggestione, effetto psicologico, fiducia del paziente, modesto effetto sedativo dell’alcool, probabilmente fecero un mix che in quel caso raggiunse transitoriamente  lo scopo. Il giorno dopo ovviamente l’orticaria ricomparve e il paziente, su consiglio del nostro, si affidò a un dermatologo, che lo trattò con i farmaci specifici (GLI UNICI IN GRADO DI CURARE) e il problema si risolse.

Massimo Conocchia

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