Recensione mostra Giuseppe De Vincenti

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Prendete una pittura “à la Hopper”. Inzuppate il pennello di luce mediterranea anziché di riverberi metropolitani. Cancellate le rare, enigmatiche presenze umane dei quadri del pittore newyorkese e lasciate campo pieno a un casolare, un carrubo, una piccola palma, una collina che prelude al mare, un cancello affacciato sul nulla, una strada deserta, un guard rail dimenticato. Entrerete così nel mondo artistico pieno di luce, di silenzi, di attese, di mistero di Giuseppe de Vincenti: uomo del Sud, uomo di scuola trapiantato a Brescia che nella sua pittura continua a meditare sulle luci e i colori del Meridione, zenit esistenziale e vibrazione luministica. “Luce dal silenzio” si intitola la bella mostra organizzata dall’Associazione Caleidoscopio, curata da Mario Romanini, visitabile fino all’8 gennaio (il sabato e la domenica) alla Galleria Civica di Montichiari, spazio caldo e promettente nella mappa degli ambienti espositivi bresciani.

Il catalogo è edito da l’Obliquo. Dalle opere pubblicate emerge, evidente quanto profonda, la consonanza fra De Vincenti e Piero Guccione. L’incontro fra De Vincenti e Guccione (praticamente conterranei) è stato propiziato da una mostra parigina del secondo. Ne sono venute a galla affinità evidenti di cui si trova ampia traccia nella mostra monteclarense: mari che sfumano nel cielo, orizzonti impalpabili, confini incerti fra mille sfumature d’azzurro mettono di fronte a consonanze profonde fra l’opera dei due artisti. De Vincenti torna e ritorna su alcuni soggetti: un casolare e un edificio più basso, ad esempio, che visti e dipinti in diverse stagioni e diverse ore del giorno diventano la personalissima cattedrale di Rouen dell’anti-impressionista De Vincenti, artista che in città ha animato con altri la bella stagione degli “Studi praticabili”.

Il testo denso e lusinghiero che Predrag Matvejevic, massimo cantore letterario contemporaneo del Mare Nostrum, ha dedicato nel 2010 all’opera di De Vincenti colloca i lavori dell’artista calabro-bresciano al rango che compete loro. Mentre il cassetto dell’artista trabocca di progetti – da una personale a Parigi a una serie di omaggi al regista greco Theo Angelopulos – la mostra monteclarense è una sintesi ragionata e fascinosa del percorso creativo di un’artista che, a sessantotto anni, trasmette nei suoi quadri una carica vitale e una giovinezza artistica che non si affievoliscono.

Massimo Tedeschi

Fonte: Corriere della sera

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