Padula visto da D’Ancona

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Dalla chiusura di “Confronto”, che, certamente, era di sprone, nessuno ha scritto su e del Padula.

C’è da chiedersi: – Come mai? -. Quel periodico tanto bistrattato in patria, evidentemente, assolveva, sotto questo aspetto, a un compito non secondario? Non sta a noi dare risposta.

A colmare il “vuoto” vogliamo spezzare un’ennesima lancia, come si dice comunemente; anzi far fare una considerazione al celebre Alessandro D’Ancona che, il 1878, scrisse un lungo e interessante articolo su Vincenzo Padula. Apre: “L’Italia non conosce sé stessa” e giù con altre considerazioni a sostegno. Evidenzia, poi, “da una recente pubblicazione del signor Padula ci si conceda togliere quanto può dare notizia della vita economica e morale in Calabria”.

La pubblicazione suddetta è Il Bruzio, giornale politico-letterario, vol. I, edito in Napoli, presso Testa, nel 1878. Quella precisazione vol. I faceva presagire l’intenzione del Padula di pubblicare volumi successivi, nei quali raccogliere altri articoli apparsi sul suo prestigioso giornale. Sappiamo, però, che questo rimase un pio sogno.

Il D’Ancona, infatti, considerava: “Ciò che diremo non è compiuto, perché l’opera del signor Padula, nella quale andiamo spigolando, non è terminata: ma quel che diremo, è almeno testimonianza di un nativo de’ luoghi, illuminato insieme ed appassionato amatore della propria provincia”.

Una puntualizzazione designa il Nostro quale meridionalista ante litteram: “Non è da meravigliarsi che le sue osservazioni volgansi specialmente sullo stato della misera plebe delle città e dei campi: ché a tale studio è chiamato ogni uomo di cuore e d’intelletto, e quella che dicesi questione sociale è speranza e sgomento insieme degli odierni statisti”.

Erano trascorsi diciassette anni dall’Unità d’Italia!

Passato in rassegna lo stato in cui vivevano i calabresi, il D’Ancona, dato che si andava affermando il “verismo” in letteratura, invia questo appello: “”Se la nostra voce avesse autorità, diremmo ai giovani scrittori: Lasciate i lavori di fantasia, i drammi, i romanzi, e dacché avete in bocca il vero e il verismo, eccovi largo campo di osservazioni, eccovi miserie, eccovi effetti, ecco creature umane da ritrarre senza mischianza di falso, e con giunta, un risultato benefico”.

L’appello contiene, com’è evidente, una sottolineatura: Padula, con i suoi studi sullo stato delle persone in Calabria, si accredita come capostipite del “Verismo”.

La cosa strana è che nelle nostre scuole, ad Acri, Patria del Padula, non si fa studiare quest’autore, primo perché bisognerebbe conoscerlo, studiandolo sotto i molteplici aspetti, secondo perché i testi scolastici, se va bene, lo liquidano in poche parole.

Torniamo allo scritto in esame. La conclusione è degna di nota come e più del resto: “Eccovi uomini e donne cui la società e la fortuna tratta peggio che bestie; agli uomini di Stato, ai politicanti, ai giornalisti, diremmo: Guardate qua, studiate qua; belle cose, la repubblica di Platone, la fratellanza universale dei popoli, i diritti sovrani della plebe, l’allargamento del suffragio: ma qui vi è gente che è men che plebe da sollevare, da riscattare, da istruire. A tutti diremmo: Studiamo l’Italia vera, i suoi veri bisogni, il suo stato reale: per noi, duro a dirsi, non conosciamo ancora la patria nostra!”.

Non aggiungiamo altro. Facciamo solo una considerazione: se ancora si parla di questione meridionale è perché quel messaggio non ha trovato, fra i destinatari, e non trova ancora oggi gente pronta a risolvere il problema.

Padula bisogna studiarlo per la sua modernità. In vita fu avversato per queste sue rivoluzionarie idee, apprezzarlo adeguatamente da morto è nell’interesse del Popolo, che non è sovrano per nulla.

Non essere studiato nella città natale è poi … continuate voi. Io faccio punto.

Giuseppe Abbruzzo

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