Recuperare la solidarietà per dare un senso al nostro esistere

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L’esistenza umana, osservata attraverso la lente lucida e implacabile della logica, non sembra avere un significato e uno scopo. La fede, la trascendenza, la metafisica altro non sono che dei sistemi, al di fuori del razionale, per cercare un significato esistenziale, diversamente assente.

“La nostra sola giustificazione, se ne abbiamo una, è di parlare e agire in nome di tutti coloro che non possono farlo” (Albert Camus).

Sta in questo il vero significato dell’esistenza, nell’agire e operare in nome di chi non ha voce, non ha forza, non ha mezzi. Il recupero della solidarietà tra gli uomini è l’unico modo attraverso il quale possiamo tentare di realizzare pienamente il significato della vita. Questo recupero può avvenire in tanti modi, attraverso il sostegno ad associazioni onlus che si occupano dei diseredati e degli emarginati, attraverso la parola e il pensiero, attraverso un piccolo impegno quotidiano nei confronti di chi sta a terra e non riesce ad alzarsi, attraverso, soprattutto, una politica che abbia a cuore il miglioramento delle condizioni di chi sta peggio. Per chi crede, vedere Cristo in ogni povero e ogni malato può aiutare a realizzarci in questa vita. Per chi non crede, il recupero della solidarietà è l’unico sistema che permette di ritrovare un senso all’esistenza.

Il vero problema della società in cui viviamo è la progressiva disumanizzazione e un individualismo sfrenato che, ai vari livelli, mina il principio di solidarietà e con esso il senso della vita. Viviamo una stagione politica improntata alla caccia sfrenata a qualsiasi misura di sostegno verso i più deboli, siano essi le famiglie senza reddito, gli immigrati, i disperati in genere. Questo modo di vedere è, a quanto pare, maggioritario nel nostro Paese. Gli effetti in termini di tenuta sociale non si sono ancora visti e, probabilmente, tarderanno a farsi vedere in termini esplosivi solo grazie alla persistenza, specie in alcune aree del Sud, di un tessuto familiare in grado esso stesso di fare da ammortizzatore. La guerra ai disperati, comunque, non potrà che portare altra disperazione. Essere di Sinistra, un tempo, significava proprio essere disposti a occuparsi dei più deboli, di assicurare loro tutele e diritti, diversamente negati. Per la verità, gli stessi principi si ritrovavano in buona parte di un cattolicesimo sociale che, sebbene da una prospettiva diversa, mirava anch’esso al recupero di condizioni esistenziali decenti per i più deboli. Oggi, in buona parte, la Sinistra, o quel che ne rimane, ha finito per occuparsi di altre tematiche, distanti anni luce dalla tutela dei più deboli. Al tempo stesso, una eccessiva frammentazione in quel fronte ha finito per togliere incisività a quelle poche tematiche residue riguardanti il welfare e la tenuta sociale.

La vera sfida sta nei risultati, ossia negli effetti a breve e medio termine di politiche volte alla soppressione di quelle misure che erano, in definitiva, espressione di una politica solidale e davvero vicina ai bisogni dei più deboli. Siamo convinti che non tarderanno ad estrinsecarsi, per lo meno in termini di maggiore precarietà, minor diritto allo studio, minori garanzie di crescita per chi non ha mezzi. In ultima analisi con un aumento delle diseguaglianze. Uno Stato forte con i deboli e ossequioso verso i forti, cui vengono garantiti scudi e protezioni, non corrisponde esattamente alla nostra idea di Stato e, riteniamo, finirà per produrre ulteriori ingiustizie e disparità in un mondo per sua stessa natura iniquo.

Massimo Conocchia

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